Caro direttore,

negli ultimi anni ho avuto la fortuna professionale di girare per l’Italia a tenere dei corsi di formazione sulla valutazione del sistema dell’istruzione, in particolare per quanto riguarda gli aspetti statistici collegati alle rilevazioni nazionali e internazionali. Le regioni nelle quali sono stato sono Sicilia, Calabria, Campania, Sardegna e Lombardia. Inoltre ho avuto frequenti contatti con colleghi formatori e soprattutto ho incontrato più di un migliaio di docenti scelti dalle proprie scuole per frequentare i corsi: realisticamente gli insegnanti incontrati sono fra i più motivati dell’intera categoria.



Per descrivere la situazione che ho incontrato propongo di metterci nei panni di una scuola seriamente impegnata con la mission che la caratterizza. Sicuramente una tale scuola ha la necessità di potere valutare il proprio agire, l’efficacia del lavoro che svolge, la preparazione che riesce a fornire ai propri studenti. Come fare? Lo strumento dell’autovalutazione è insostituibile, perché le “condizioni al contorno” le conoscono solo i soggetti che operano nella scuola, ma non è sufficiente: senza paragoni con dati esterni le affermazioni sul livello raggiunto sono inconsistenti. Piaccia o non piaccia, ad oggi l’unico strumento a disposizione di ciascuna scuola italiana per osare proporre una valutazione che tenga conto anche dei risultati di altre scuole è il pacchetto dei risultati delle rilevazioni Invalsi. Esso è comunicato ad ogni scuola e solo ad essa: la scuola deve decidere se aprirlo, come studiarlo e quali energie investire per render possibile una ricaduta migliorativa dell’intero sistema.



Nessuno sa quante scuole effettivamente si impegnano a leggere i risultati forniti dall’Invalsi, né quante ne tengono conto come elemento utile per la riprogrammazione. Una volta ho osato chiedere quante delle scuole dei docenti presenti avessero scaricato i risultati Invalsi e, fortunatamente, gli esiti di una sola rilevazione non sono statisticamente significativi… Ma senza volere scusare le scuole, forse qualche ragione per un simile comportamento c’è e, soprattutto, essa vale per molte delle scuole che vogliono confrontarsi seriamente con i risultati.

Il problema è che quei risultati bisogna saperli leggere, e non è scontato  che in ogni scuola vi siano figure competenti nella lettura di risultati statistici. Non è una colpa imputabile alle scuole e – lo dico per evitare equivoci – non è una caratteristica degli istituti comprensivi, magari privi di laureati in matematica, al contrario che nelle secondarie di II grado. 



Nel mio istituto (1400 studenti) ho calcolato approssimativamente che per i test sottoposti alle 14 classi seconde ci sono stati restituiti 2.484 risultati numerici per classe, per un totale di 34.776 cifre, oltre a 30 file con grafici vari. Se ogni cifra la si guardasse per un secondo e ogni grafico per un minuto ci vorrebbero più di 10 ore per la prima lettura! Ma non basta leggere i numeri: occorre capire a cosa si riferiscono e quale messaggio veicolano.

E qui le ore necessarie aumentano a dismisura. Allora bisogna restituire meno risultati? No, i dati restituiti vanno molto bene, nella loro abbondanza, ma bisogna che in ogni scuola ci sia almeno una persona che abbia il compito (retribuito) di analizzare i risultati che l’Invalsi fornisce, al fine di non fraintendere i risultati stessi e poter così riprogrammare partendo dalla situazione effettivamente esistente e paragonandola ai risultati regionali, macroregionali e nazionali. Il famoso “referente per la valutazione”, che dovrebbe essere presente in ogni scuola, non può essere una carica onorifica o formale, ma essa deve essere affidata a un docente competente nella lettura dei risultati statistici e che faccia da tramite coi consigli di classe, informando sui significati dei numeri restituiti dall’Invalsi.

E’ troppo ipotizzare che in ogni scuola ci sia una simile figura? Si ragioni allora per rete di scuole, o si pensi a un consulente per le scuole in difficoltà. Insomma, per riprendere argomenti trattati su queste pagine, si “liberalizzi” la figura del docente competente nella lettura dei risultati statistici. La scuola ne trarrebbe giovamento e cadrebbe anche un ostacolo non secondario perché sia valorizzato appieno il lavoro che l’Invalsi fa e che ogni scuola coadiuva con l’organizzazione complessa delle somministrazioni obbligatorie.

Inoltre sarebbe possibile quanto auspicato dal ministro Profumo il 7 dicembre scorso, anticipando il Progetto Scuola in chiaro: “Il Miur renderà disponibili i dati in possesso del proprio sistema informativo, mentre lascerà alle scuole, nella loro autonomia, la diffusione dei risultati sulle valutazioni degli apprendimenti e dell’offerta formativa”. La diffusione sarà possibile solo se i dati saranno stati analizzati, compresi e opportunamente sintetizzati e un simile lavoro non è purtroppo, in questo momento, alla portata di tutte le scuole.