Torno sul tema del concorso dopo aver lasciato sedimentare – su queste e altre colonne – le prime reazioni. Se lo faccio è per vedere insieme a chi legge queste righe se esistono condizioni che possano permettere di sfruttare questa opportunità per far fare a un reclutamento così imperfetto come quello italiano un passo avanti nella direzione della modernizzazione e dell’efficienza. La considerazione da cui partire è infatti sotto gli occhi di tutti, anche di chi fa finta di non vedere: le modalità attuali di reclutamento (perché non chiamarla finalmente assunzione? Non è mica l’esercito!) sono insostenibili dal punto di vista sociale (precariato) e incompatibili con l’autonomia scolastica e il buon funzionamento di tutta la macchina (mancanza di programmazione, discontinuità didattica ecc…).
Prima di passare alle proposte una nota di metodo, forse scontata, ma che faccio perché può aiutare a capire – spero – il senso delle proposte che seguono. Io sono un riformista. Il riformismo è spesso confuso con il gradualismo, una sorta di moderatismo di sinistra. Io non penso sia così: il riformista non è moderato, ma del moderato ha una caratteristica fondamentale: la capacità (l’imperativo morale, vorrei dire) di tenere conto sempre delle condizioni reali in cui si trova ad operare. Parte dallo stato di cose esistente, cerca di comprenderlo per poi proporre dei cambiamenti realizzabili, anche profondi, ma realizzabili. Invece il radicale, l’estremista di “destra” o di “sinistra” che sia (le virgolette sono d’obbligo dato che sono termini per certi versi vuoti, io preferisco parlare di cambiamento e conservazione) parte dalla fine. Vuole produrre un cambiamento (o una conservazione dello status quo, fa lo stesso) e deforma la realtà per piegarla al proprio obiettivo.
È con spirito riformista che vorrei si guardasse alla proposta di Profumo di indire un concorso. Capisco le obiezioni che si sono levate da parte di molti; vedo in particolare due rischi, connessi tra loro: creare nuovo precariato e introdurre un terzo canale di immissione in ruolo dopo quello delle GAE e quello (ancora indefinito per responsabilità del precedente governo) dei TFA. Oltre ai rischi connessi al metodo, vi è poi un’obiezione di merito molto giusta: il concorso come lo conosciamo non è affatto la modalità per selezionare il docente “migliore”. La tesi che mi accingo a sostenere è però che ci può essere un modo per fare un concorso che non solo riduca al minimo i rischi suddetti, non solo selezioni in modo più consono i migliori insegnanti, ma per di più possa rappresentare il primo tassello per un ingresso più efficiente e contemporaneo nel mondo della scuola.
La prima considerazione riguarda un elemento di cui si parla molto poco, ma è essenziale. Tutti discutono di come si assume, ma nessuno dice quanti insegnanti assumeremo nei prossimi anni. La prima riforma da fare dunque riguarda la certezza delle immissioni in ruolo. Gelmini ha sancito che a questo “giro” sarà coperto tutto il turn-over. La mia prima proposta è che questo meccanismo di copertura “automatica” del turn-over venga sancito a livello normativo. Si tolga al MEF, limitatamente alla copertura del turn-over, il potere di veto che di fatto ha sulle immissioni in ruolo. La seconda proposta, connessa a questa, è che venga definitivamente superata la distinzione tra organico di fatto e di diritto, introducendo l’organico funzionale assegnato però alle reti di scuole. La prima proposta serve a dare continuità e certezza di ingressi, la seconda ad allocare il personale in modo più efficace ed efficiente.
Data certezza e continuità alle immissioni, veniamo così al concorso. Per quanto si legge dai giornali, il governo sembra voler attingere per una quota dalle Gae e per una quota inferiore dal concorso. La ratio è che il secondo canale sia più favorevole per i più giovani (quelli già nelle Gae sono in posizioni molto basse e molti sono fuori a causa dei ritardi ad avviare i TFA e alla contestuale chiusura delle SSIS da quattro cicli, con esclusione dei neo-laureati, ai quali si aggiungono alcune centinaia di congelati SSIS, dei veri beffati dato che sono in quella situazione perché hanno conseguito un dottorato o hanno deciso di mettere al mondo un figlio). Per quel che riguarda il secondo canale, come detto in principio, la prima necessità è che si eviti divenga terzo, ovvero che si decida contestualmente che fine faranno i TFA. Su questo vorremmo sentire parole definitive dal ministro Profumo, dato che siamo certi che il governo vorrà mantenere il principio che per insegnare sia necessaria una formazione specifica e dunque lo schema uscito dal lavoro del precedente governo (uno schema perfettibile, come tutto nella vita, ma certamente condivisibile per il principio che lo ispira). Ipotizzando infine cadenza biennale dei concorsi, possiamo immaginare che essi siano riservati ai soli abilitati e prevedano una modalità di assunzione differente per i vincitori degli stessi.
Fatto 100 il numero di assunti, se ne possono pescare da 50 a 70 dalle GAE (questo numero – oggetto di trattativa sindacale – può essere diverso a seconda della numerosità di ogni singola GAE e cambiare ogni biennio) e il restante numero dal concorso riservato ai soli abilitati. E così sarà fino a quando le graduatorie non saranno esaurite, momento in cui il 100% dei nuovi assunti sarà selezionato con le nuove modalità. Prima di descrivere quali sono a mio avviso le modalità auspicabili, vorrei ci fermassimo un attimo ad analizzare i vantaggi di questa soluzione:
1. Chi oggi si trova nelle GAE cambierebbe per una situazione migliore in quanto passa da un bacino potenziale di assunzioni pari al 50% del totale ad uno maggiore; gli altri hanno comunque un’opportunità che altrimenti sarebbe loro negata.
2. Il sistema sarebbe più efficiente e consentirebbe una copertura del turn-over con personale di età media complessiva più bassa.
3. Il sistema continuerebbe ad abilitare personale con cadenza annuale (sempre in base al fabbisogno previsto), consentendo di coprire anche le richieste delle scuole paritarie.
4. Esaurite le GAE, entrerebbe a regime per tutti il nuovo sistema automaticamente, senza bisogno di fare nuove riforme.
5. Quest’ultimo vantaggio è progressivo dato che già oggi alcune GAE sono esaurite (se poi fosse possibile stabilire il principio che chi viene chiamato per una supplenza annuale, se rifiuta viene depennato dalle GAE potremmo anche accelerare questo processo).
E infine il concorso. Innanzi tutto si deve abbandonare lo spirito “decubertainiano” che ha contraddistinto i concorsi pubblici fino ad oggi: l’importante deve essere vincere, non partecipare. Chi lo vince ha diritto all’assunzione, chi partecipa non ottiene alcun credito, di nessuna natura. E poi i contenuti: sarà fondamentale decidere come strutturare la prova. Qui si dovrà innovare parecchio, abbandonando lo schema tradizionale finalizzato all’ennesima verifica delle conoscenze possedute dal candidato: queste sono già certificate dal titolo posseduto (laurea o più e abilitazione). Piuttosto, superata una preselezione che scremi i candidati (possibilmente fatta meglio di quella per dirigenti scolastici), si chieda di progettare una o più lezioni su argomenti scelti dalla commissione esaminatrice: assegno il tema, do tre/quattro ore di tempo per preparare la lezione (favorendo l’utilizzo degli strumenti informatici, incluse le LIM) e poi il candidato espone di fronte alla commissione che valuta.
Si potrà innovare molto anche nella scelta dei pesi da dare ai titoli posseduti: perché (ma è solo uno degli esempi possibili) non dare un punteggio superiore a chi ha conseguito il DITALS, la certificazione per l’insegnamento dell’italiano agli stranieri? Poiché al concorso potrà partecipare anche chi oggi è nelle GAE, sarà importante anche che la scelta di questi pesi non sfavorisca eccessivamente i più giovani e dunque l’anzianità conti poco o nulla. Se su questo i sindacati avranno da ridire, il consiglio che do al ministro è di trattare piuttosto sulle quantità di immissioni dalle GAE (si può arrivare fino al 70%), ma non sui criteri per il concorso sui quali si dovrà avere mano libera. Rimane aperto l’ambito territoriale in cui il concorso può essere effettuato (nazionale? regionale? provinciale? a livello di rete di scuole?), fermo restando ovviamente il pari diritto di accesso per tutti i cittadini italiani.
Ma la grande occasione è rappresentata proprio dal fatto che per i vincitori di questo concorso, potremo sostanzialmente immaginare percorsi fortemente innovativi. Non sono – ad esempio – portatori di diritti acquisiti. Potremmo anche prevedere che non vi sia alcuna graduatoria, ma solo un elenco di abilitati vincitori di concorso dal quale le reti di scuole possono selezionare chi possiede le caratteristiche ad esse più idonee (possono anche convocarne più del numero richiesto e prevedere un colloquio conoscitivo di fronte ad una commissione esaminatrice definita dalla rete stessa in piena autonomia). Si noti che l’accusa di favoritismi nella scelta da parte delle scuole non ha grosso peso, dato che a scegliere è una commissione e non un singolo e comunque parliamo di persone le quali lavoreranno tutte (i posti disponibili, ricordo, sono pari ai posti assegnati): il peggio che potrà capitare a chi non è cugino di un preside sarà quello di lavorare in un posto un po’ più lontano da casa.
Riassumendo: per chi è in graduatoria cambia poco; per gli altri il percorso sarà: abilitazione, concorso, scelta da parte delle reti di scuole tra i vincitori. Chi è abilitato, ma non è nelle GAE e non vince il concorso, aspetterà il concorso successivo (due anni) e nel frattempo potrà fare un altro lavoro, essere chiamato da una scuola paritaria, fare supplenze brevi se non sono coperte dall’organico funzionale.
Nella fase transitoria, qualora non si riuscisse ad attivare i TFA entro un mese per consentire ai non abilitati di fare il concorso (purtroppo scenario plausibile per i pasticci e i ritardi accumulatisi), si potrà prevedere che solo per questa volta al concorso partecipi chiunque sia laureato, chiaramente mantenendo la condizione chiave della natura “non olimpica” del concorso (conta solo vincere). Questa condizione è essenziale, perché altrimenti si creerebbe nuovo precariato.
Come ho detto, non è la soluzione che prediligo, ma ciascuno deve rinunciare a qualcosa. E tenendo conto del vincolo introdotto dal nuovo ministro (il concorso), quella che ho proposto mi sembra una soluzione in grado di farci fare un primo passo nella giusta direzione. E, come ci ha insegnato il saggio Lao Tzu, un viaggio di mille miglia comincia sempre dal primo passo.