Caro ministro Profumo, questo concorso puzza. 

Per tante ragioni, che ogni insegnante precario potrebbe dettagliare alla luce della sua storia. Io, per esempio, ora sono definitivamente certo di aver sbagliato. Mi spiego: ne ho sbagliate tante nella vita, ma una scelta che rifarei mille volte è iscrivermi a Lettere. La letteratura è la strada attraverso cui capisco il mondo e me stesso. Perciò, dopo tanti anni di tormenti lavorativi ed economici, lo consiglierei ancora a chi avesse la mia stessa vocazione.



Non ho sbagliato a iscrivermi a Lettere. Ho sbagliato quando ho finito Lettere. Eh sì, caro ministro, perché mi è venuta la malsana idea di fare un dottorato, cioè di voler capire di più le parole dei nostri scrittori. Ho sbagliato, perché dopo molti anni, e dopo un postdottorato, e dopo aver scritto qualche libro e molti articoli su riviste letterarie e aver tenuto qualche centinaio di conferenze e di letture pubbliche in giro per l’Italia, oltre a dover lasciare la carriera universitaria, mi sono reso conto che, se volevo insegnare a scuola, tutto quello che avevo fatto non valeva a niente. Anzi mi penalizzava: se avessi insegnato da subito, infatti, sarei già entrato in ruolo.



Fino all’altro giorno, guardando le graduatorie ad esaurimento, era evidente: non dovevo fare il dottorato. Perché ora mi ritrovo qui, ogni fine settembre e ogni ottobre, disoccupato per almeno 4 mesi su 12, a elemosinare foss’anche a 90 km di distanza una supplenza (si spera una sola, e non tre o quattro diverse durante l’anno): appeso a una mail di convocazione, pregando perché qualche insegnante rimanga incinta (ormai, però, è un fatto rarissimo, perché il ruolo si raggiunge in età praticamente da menopausa: vivendo in Puglia, tuttavia, non ho perso la speranza che la giunta Vendola acceleri i tempi per la fecondazione assistita degli uomini o per l’adozione alle coppie gay) o anche che si ammali (ma gravemente, perché un braccio rotto a inizio ottobre mi lascia di nuovo a casa a metà novembre).



Almeno, però, ero in graduatoria. Una graduatoria quasi immobile (a Bari 5 assunzioni di italiano e latino in 4 anni), ma pur sempre una graduatoria. Con 289 persone in coda, mantenendo il ritmo in appena 231 anni ce l’avremmo fatta tutti. Si trattava solo di avere tanta pazienza. 

Per entrare in quella graduatoria, ho dovuto sopportare un’invenzione diabolica chiamata Ssis: trascorrendo tutti i miei pomeriggi per due anni, alla comoda cifra di più di 3mila euro, a sorbirmi una chiacchiera dopo l’altra di sedicenti pedagogisti. E ora so che ho sbagliato anche a fare la Ssis, cioè l’unico modo in Italia per abilitarsi all’insegnamento. Ho sbagliato: perché adesso scopro che al concorso possono partecipare tutti quelli laureati entro il 2001, anche non abilitati. Cioè io, anche se non avessi mai speso 3mila euro e due anni della mia vita, sarei stato allo stesso punto di adesso. 

Certo, perché è così che si fa. Stavamo giocando il nostro campionato di calcio. Erano trascorse 30 giornate, ormai i giochi erano quasi fatti: chi lottava per lo scudetto, chi per non retrocedere. Ma arriva uno e, siccome la palla è sua, decreta: “adesso chi segna vince”. Sì, azzeriamo tutto: non importa che la squadra si chiami Barcellona oppure “W la parrocchia”: chi segna vince. 

Ma soprattutto solo ora mi accorgo che ho sbagliato a insegnare. O meglio a concepire l’insegnamento come rapporto con la letteratura, la lingua, la storia e i miei alunni. Mi sono letto tutto Pasolini e ho provato a prendere sul serio i miei alunni? “Ecchissenefrega”, mi avverte il ministero. Al concorso ci sarà il quizzone. Che cretino sono stato, ad andare dietro a Dante, Leopardi e Orazio anziché a Mike Bongiorno, Gerry Scotti e Paolo Bonolis! 

Ci saranno 18 domande di logica, valide per tutti (per chi vuole insegnare alle elementari o alle medie o alle superiori o vuole diventare architetto o veterinario, shampista o gommista). La logica – ci mancherebbe! – è una disciplina nobile. Per curiosità sono andato a guardare i prototipi delle domande: niente Aristotele, ovviamente, niente Gödel, figuriamoci. Giochini tipo Sudoku. Avrei dovuto fare così, in questi anni: altro che leggermi integralmente ogni anno La Gerusalemme liberata, l’Iliade e i dialoghi di Seneca. Tanta Settimana enigmistica ci voleva, o anche Snake sul cellulare. 

Non solo a un certo punto del campionato di calcio ci venite a dire che “chi segna vince”. Ci dite addirittura: “vince chi fa un punto a tennis”. Ma non stavamo giocando a calcio? Non dovevo conoscere italiano, latino, storia e geografia? E chi ha finito di studiare inglese al quinto ginnasio ed è nato ai tempi del grammofono, dopo vent’anni di insegnamento cosa volete che risponda a 14 quiz su lingua comunitaria e informatica?

Lo so, è un bel ricatto. Come si fa a resistere, se giochi nella squadra “W la parrocchia”, alla prospettiva di scavalcare il Barcellona al golden gol? Sì, le possibilità sono pochine e, anche senza addestrarsi ai quiz ministeriali, un elementare calcolo delle probabilità dimostra che, se vengono messi in palio per italiano e latino solo 3 posti in Lombardia e 2 in Piemonte, è più facile vincere al grattaevinci.

E noi precari, al grattaevinci non resisteremo. Ci piace vincere difficile, e diventare Mega-Insegnante-Per-Sempre. Imbestialiti e umiliati, a dicembre andremo a sederci davanti a un computer per fare 50 quiz in 50 minuti (non so se lo faremo anche subito prima del Tg5 e del Tg1 per restare fedeli al palinsesto). 

Per fortuna, con 20 giorni di anticipo metteranno in rete i 3500 quiz da cui capiteranno i 50 della prova. Così passeremo dicembre, anziché a leggere La Divina Commedia o i quaderni dei nostri alunni, a divertirci su questo Trivial Pursuit che al ministero si ostinano a chiamare “logica”. Ecco l’ennesimo modo di rovinare la scuola: distrarre decine di migliaia di insegnanti dal loro lavoro. 

 

Poi in primavera ci sarà la seconda prova, e infine la terza e definitiva, quella che sancirà i vincitori. Ci toccherà simulare una lezione, all’ultimo. E questo, si potrebbe pensare, sì che c’entra con l’insegnamento. Però mi vedo lì la giuria con le palette: Rudy Zerbi forse, o Mara Maionchi, o addirittura Maria De Filippi, mentre mi tocca esibirmi su quello che ho estratto dalla busta (chissà, magari cantare Sì la vita è tutta un quiz, oppure ballare con Platinette). Me la vedo, la terza prova: Italia’s Got Teacher. Non sempre vincono i migliori: Vita spericolata finì ultima a Sanremo, i Jalisse vinsero. Sarò sincero: mi fido molto di più dell’arbitrio assolutamente scriteriato del fato greco che delle cavillose griglie di valutazione del mondo scolastico (per lo stesso motivo, preferisco rinunciare all’idea di scegliere in autonomia gli insegnanti secondo criteri di qualità, se la mia esperienza mi testimonia che tanti dirigenti non sono in grado di distinguere Messi da un paralitico: meglio a questo punto il cieco scorrere delle graduatorie, l’orgia di bravi e incapaci).

Ecco perché questa volta non sbaglierò. Fateveli voi i quiz, non ho tempo da perdere. Del resto, già mi è capitato di non superare i quiz per la patente, ed erano domande più serie, più attinenti al mio latino di quelle che mi propinerete (anzi, come dite voi in pedagoghese? mi somministrerete). Se non supererò il casting per l’insegnamento, l’estate prossima canterò da solo, senza giuria, Mare profumo di mare. Poi proverò le selezioni del Grande Fratello, o di Veline (tanto occorre la stessa preparazione). 

Per 50 minuti tenterò la fortuna, ma non mi fido più di chi mi ha già fatto sbagliare somministrandomi la Ssis. Non mi toglierete un minuto all’amicizia con Pavese, con Verga, con Petrarca. Su internet leggerò le commoventi mail che mi arrivano ogni giorno dai miei ex alunni, non i vostri esercizietti. Scusatemi, la scuola è un’altra cosa, ed è troppo bella. Somministratevela da soli questa minestra, io non sento nessun Profumo.