Non c’è dubbio che l’approvazione da parte della Camera dei deputati del Testo unificato di Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche statali (il cosiddetto ddl Aprea) costituisca il punto di arrivo di una ormai decennale traversia tra le forze politiche (e all’interno di ciascuna di esse) sugli organi collegiali della scuola.



Quindi, almeno nelle originarie intenzioni di chi ha promosso tale percorso, in tal modo si dovrebbe completare il disegno dell’autonomia scolastica, avviato nel 1997 e mai effettivamente attuato, anzi rallentato e complicato da mille lacci e laccioli successivamente intervenuti.  

Tuttavia, forse a proprio a causa di tale lungo percorso e delle inevitabili “contrattazioni” di cui esso è stato oggetto, l’attuale testo approvato dalla Camera, e in procinto di essere approvato dal Senato, non solo non comporta nessuna aggiunta reale all’autonomia delle scuole, ma anzi complica il quadro, sia a livello locale che nazionale, oltre a contenere alcune norme invasive della competenza regionale e, dunque, facilmente impugnabili dalle Regioni per incostituzionalità. 



Per quanto riguarda gli organi interni della scuola, l’unica vera novità potrebbe essere costituita dalla previsione della “Conferenza di rendicontazione” che potrebbe finalmente costituire l’inizio di una vera cultura di bilancio sociale da parte delle scuole. Che le scuole finalmente rendano conto al proprio territorio della loro attività didattica ed extradidattica potrebbe costituire l’inizio di un percorso che conduce la scuola italiana ad uscire dalla propria autoreferenzialità, costringendola a confrontarsi con tutto ciò che popola le mura esterne della scuola stessa. Dunque ben venga la conferenza di rendicontazione, a patto però che venga intesa come redazione di un bilancio sociale.



Per il resto nessuna reale novità. Il “Consiglio dell’autonomia” altro non è che il precedente Consiglio di istituto; idem per il Collegio docenti (ribattezzato Consiglio, che da sempre ha avuto compiti di progettazione dell’attività didattica) così come il Consiglio di classe. Neppure il “Nucleo di autovalutazione” è una vera novità: è infatti previsto dal regolamento che ha istituito il Sistema nazionale di valutazione (Snv), affidando all’Invalsi il compito di coordinamento dello stesso. 

Non solo, sul terreno della valutazione si perpetua l’antico errore di prospettiva ovvero la sua concezione autorefenziale alla scuola stessa, così come emerge limpidamente dall’art. 8, comma secondo cui: “Il Nucleo di autovalutazione, coinvolgendo gli operatori scolastici, gli studenti, le famiglie, predispone un Rapporto annuale di autovalutazione, anche sulla base dei criteri, degli indicatori nazionali e degli altri strumenti di rilevazioni forniti dall’Invalsi”. 

Quell’“anche” è assai significativo in quanto può costituire la via di fuga delle scuole rispetto ai criteri e parametri Invalsi. Non solo ma quel Rapporto, anziché far parte del bilancio sociale della scuola, è tutto giocato all’interno della scuola stessa, in quanto “parametro di riferimento” del Pof. Il giurista poi si chiede cosa vuol dire “parametro di riferimento”: o il Pof deve tenerne conto o può, che è cosa ben diversa.

In questo contesto non si capisce a cosa serva l’autonomia statutaria, visto che la legge già dice quali sono gli organi e definisce le loro competenze. Il giurista fa fatica a comprendere cosa di innovativo e “autonomo” potrebbero contenere gli statuti delle scuole e, soprattutto, stenta a comprendere la ragione per cui essi sono strumenti di autonomia.

Ma ciò che potrebbe influire negativamente sull’autonomia è l’impianto di organi esterni alla scuola: Conferenze regionali del sistema educativo; Coordinamento regionale delle consulte provinciali degli studenti; Consiglio nazionale delle autonomie scolastiche. Come si può immaginare che tutti questi organi possano contribuire all’autonomia delle scuole? Essi, al contrario, diventeranno inevitabilmente produttori di direttive, circolari, etc. che complicheranno la vita dei dirigenti scolastici e delle scuole. 

Sul Consiglio nazionale delle autonomie, poi, definito quale “organo di partecipazione e di corresponsabilità tra Stato, Regioni, enti locali ed autonomie scolastiche” è lecito porre qualche dubbio di funzionalità. L’art. 11, comma 2-bis dice che ai suoi componenti non sarà corrisposto alcunché (nemmeno i rimborsi di viaggio). Di qui un problema: o i suoi componenti saranno tutti romani, oppure dovranno caricarsi in autonomia delle spese per farne parte. 

Tra l’altro, sempre il giurista, non può non mettere in guardia dalla sospetta incostituzionalità di talune norme contenute nel Testo e riferite ai compiti delle Regioni, cui la revisione costituzionale del 2001 ha affidato la competenza legislativa concorrente sull’istruzione. L’art. 11, comma 3, infatti, non si limita a ricordare i compiti che esse hanno in materia, ma “suggerisce” l’istituzione di organi, di cui definisce altresì i compiti. Cosa vuol dire tutto ciò? Se è un suggerimento (ma le leggi prescrivono o suggeriscono?) nulla; ma se non lo è allora le Regioni che istituiranno tali organi non possono essere vincolate da una legge statale che ne definisce preventivamente i compiti. 

Insomma, se si vuole realmente contribuire a sviluppare l’autonomia delle scuole, si semplifichi il contesto intorno ad esse, anziché complicarli. Soprattutto, anziché istituire nuovi organi, si lavori per dotarle di risorse, umane, strumentali e finanziare. 

 

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