Caro direttore,

Leggendo l’articolo dell’8 ottobre scorso Un prof: non sono un “facilitatore”, vorrei essere un maestro, appare evidente che la strada per riportare la nostra scuola ai livelli di massima efficienza ed efficacia è ancora tutta in salita. Sembra proprio che per alcuni insegnanti la ricerca educativa, psico-pedagogica e didattica si sia fermata agli inizi del secolo scorso, quando ancora l’attenzione era posta al prodotto e gli studenti considerati elaboratori di informazioni.



È evidente che non tutti gli insegnanti si sono accorti che i processi cognitivi non sono più soltanto il prodotto di una elaborazione dell’informazione, ma sono processi di costruzione di significati da dare a oggetti, eventi, relazioni in modo da renderli significativi e consentire la comprensione della realtà in quanto tale.



Forse sono necessari alcuni chiarimenti.

Tra i bisogni degli studenti certamente non ricorre quello di “essere messi al centro delle lezioni”, ma quello di dare un senso all’esperienza di imparare ad imparare, che può concretizzarsi solo con la capacità dell’insegnante di individuare e collegarsi alla zona di sviluppo prossimale, definita da Vygotskij. Infatti, mentre l’acquisizione delle conoscenze e la loro elaborazione, cioè l’apprendimento, avviene semplicemente con l’esposizione del soggetto che apprende a nuovi stimoli, l’applicazione di tali conoscenze non avviene poi automaticamente. Occorre perciò l’intervento dell’insegnante per aiutare a risolvere problemi non in modo occasionale, ma con una attività strutturata che contribuisca a sviluppare processi di apprendimento e di transfer.



Il processo di insegnamento/apprendimento è cambiato ed è cambiato anche il ruolo dei vari soggetti che partecipano a tale processo; gli studenti e l’insegnante diventano una comunità di apprendimento dove, attraverso l’interazione mediativa, la conoscenza diventa un atto condiviso culturalmente e socialmente in uno specifico contesto e l’apprendimento diventa significativo e permanente.

A questo punto, bisogna chiedersi come avviene l’apprendimento e cosa vuol dire affiancare ad un apprendimento diretto un apprendimento mediato. Un apprendimento diretto avviene attraverso l’interazione diretta tra il soggetto e l’ambiente e chi apprende deve avere l’abilità di entrare subito in contatto con gli stimoli dell’ambiente e la capacità di dare una risposta perché l’apprendimento sia significativo.

Attraverso un processo di apprendimento mediato, chi apprende può “pensare” gli oggetti, gli eventi e non deve ricorrere all’immediatezza dell’esperienza perché l’apprendimento si verifichi, in quanto fa esperienza di stimoli che vengono scelti, trasformati, organizzati in altro modo dall’insegnante mediatore e presentati con modalità relazionali che rendono chiaro quale importanza dia l’insegnante a ciascun studente come persona, come soggetto che apprende. 

Ed è qui che l’insegnante “facilitatore” assume un ruolo determinante, stabilendo un’interazione mediativa con gli studenti, li rende capaci di acquisire modelli comportamentali, strategie che potranno riutilizzare di fronte a nuove esposizioni agli stimoli dell’ambiente. L’insegnante facilitatore è un insegnante “competente” che nel trasmettere agli studenti quello che lui sa, lo fa rispettando i loro diversi stili di apprendimento, perché possano reagire ai contenuti e al processo di interazione.

Pertanto, mettere al centro del processo di insegnamento/apprendimento gli studenti vuol dire renderli più attenti e consapevoli dei loro bisogni interiori, dunque più disponibili all’apprendimento, più aperti alle esperienze.

Se l’insegnante facilitatore riesce a guidare l’attenzione degli studenti, riesce a far diminuire la distanza cognitiva di oggetti o eventi, in seguito essi non avranno più bisogno di interventi diretti di mediazione per accrescere la loro autonomia.

È evidente che nel processo educativo esiste una relazione forte tra studenti e insegnanti, dove l’insegnante deve essere un facilitatore che propone i contenuti in modo tale che gli studenti possano usare le loro abilità nel modo in cui preferiscono usarle e apprendere secondo le proprie capacità e i propri stili di pensiero.

L’insegnante dunque, non corre alcun rischio di essere “eliminato” dal processo educativo se diventa un insegnante competente.