Caro direttore, partecipare alla Convention nazionale di Diesse ha significato mettermi in gioco in prima persona, muovendo una mia responsabilità non solo nel dover esporre quanto avevamo fatto nel mio Istituto negli ultimi tre anni, ma anche nel dare ragione a me stessa di come io compio ogni giorno il compito di insegnante e di come guardo la realtà. Il convegno si è proposto come l’occasione per raccontare una dinamica umana contagiosa che ho visto accadere sotto i miei occhi fra i colleghi di un istituto superiore statale e che ho ritrovato all’interno del convegno. 



Le persone partecipanti infatti avevano tutte lo stesso desiderio: quello di rendere affascinante per sé e per i proprio studenti le materie per cui siamo in classe. Era una strana atmosfera quella nella sala del centro Congressi perché normalmente quando due o più insegnanti si trovano insieme, in genere parlano di problematiche didattiche o disciplinari o di risorse mancanti o altro che ha sempre l’aria di una polemica o di un malessere; invece a Bologna per un giorno si è vissuto un’aria di apertura, curiosità, voglia di conoscere e confrontarsi per portare a casa una novità da raccontare subito ai ragazzi. 



Mi ha colpita un’insegnante che ha detto ai suoi studenti di andare nel week end ad imparare ed aggiornarsi per poi rendere più facile il loro formarsi. Al centro di tutti gli interventi la preoccupazione che emergeva erano gli studenti e come poterli sostenere nella loro crescita; una posizione completamente diversa da quella che si legge tutti i giorni sulla carta stampata o sui siti web specifici della scuola, dove ogni occasione è presa per criticare e distruggere ogni tentativo che susciti l’interesse degli studenti, o peggio per allarmare gli insegnanti di ogni ordine e grado in modo che perdano il sorriso ogni volta che entrano in classe.



A Bologna ho visto invece un coraggio e un entusiasmo di fare, di esserci nella scuola anche con tutti gli innumerevoli problemi che essa ha. Questo clima si respirava nei corridoi, a tavola e soprattutto nelle “Botteghe dell’insegnare” dove la partecipazione dei presenti era attiva e collaborativa: tutti avevamo bisogno di confrontarci e di sapere che certi tentativi in classe sono possibili e sono condivisi anche in altre realtà geografiche con problematiche analoghe; così tutto è diventato occasione di formazione e di apprendimento.

Nella Bottega specifica del Lavoro si è costituita una rete di persone e di rapporti che immediatamente ha permesso di allargare lo sguardo e proiettarsi nel futuro non rimanendo nel problematicismo presente; un respiro ampio che permette a tutti di rientrare a casa anche a centinaia di km (erano con me quattro persone provenienti dalla Calabria) con la voglia di coinvolgere i dirigenti scolastici  e i colleghi in quello che è stato reso possibile nelle varie scuole. Sono stata contattata da una collega della stessa Bottega, che pur non avendo avuto modo di conoscere in dettaglio adesso sa, come me, di appartenere ad un luogo che può sostenere il tentativo di ogni giorno di portare avanti il nostro mestiere.