E’ stata presentata il 2 ottobre, su iniziativa della Fondazione Rocca e dell’Associazione TreeLLLe, la pubblicazione I numeri da cambiare. Scuola, università e ricerca. L’Italia nel confronto internazionale. Con cadenza periodica, il volume tenterà di analizzare la situazione della scuola, dell’università e della ricerca, viste “come un continuum, momenti che dovrebbero essere strettamente interconnessi per un buon sistema di istruzione e formazione”. Si tenterà inoltre di fotografare il sistema di istruzione, formazione e ricerca italiano attraverso la raccolta e la selezione di indicatori chiave, da confrontare successivamente con i dati medi europei e con quelli dei Paesi più avanzati dell’Occidente, con i quali il nostro Paese è chiamato a competere. Ha partecipato alla presentazione anche l’ex ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, contattata da IlSussidiario.net.
Cosa può dirci di questa nuova iniziativa?
Credo che la Fondazione Rocca e l’Associazione TreeLLLe abbiano un merito importante, cioè quello di offrire i numeri che fotografano la situazione della scuola, dell’università e della ricerca in Italia. E’ poi dato ampio spazio al confronto internazionale: il volume illustra i dati Ocse e quelli europei, mettendo a confronto il sistema italiano con quello degli altri Paesi.
Con quale obiettivo?
Questo rappresenta senza dubbio un importante aiuto dal punto di vista metodologico. Per troppo tempo il dibattito sulla scuola si è svolto entro i confini nazionali e in maniera per così dire “provinciale”, senza invece analizzare profondamente i punti di forza ma anche quelli di debolezza. Bisogna poi sottolineare che questo volume sfata anche diversi luoghi comuni.
Per esempio?
In passato sono stati sprecati fiumi di inchiostro per parlare di classi troppo affollate, di una bassa spesa per studente e del ristretto numero di insegnanti. Basta guardare questi dati per capire invece che, mediamente, l’Italia investe esattamente come gli altri Paesi europei. Forse meno della Germania, ma solo perché questo Paese contempla anche i finanziamenti privati.
A cosa portano dunque questi dati?
Dicono che non possiamo rinviare il miglioramento della scuola a quando ci saranno più risorse. Queste sono già importanti ed è necessario ragionare su come investirle al meglio.
Crede quindi che tali dati siano in controtendenza rispetto alle accuse che in passato le sono state rivolte?
Certo. In passato la sinistra mi ha rivolto molte accuse su questi temi, eppure basta dare un’occhiata a questo volume per capire che sono infondate. La media italiana di alunni per classe è inferiore a quella Ocse, mentre il numero degli insegnanti e quello del personale tecnico-amministrativo sono superiori alla media, a dimostrazione del fatto che i veri problemi italiani non sono questi.
Quali sono quindi le questioni di fondo sulle quali siamo chiamati ad intervenire?
Senza dubbio la necessità di potenziare e rafforzare il sistema di valutazione, non visto come elemento punitivo o sanzionatorio, ma come strumento per valorizzare i bravi insegnanti e dirigenti e per misurare con trasparenza gli esiti delle risorse investite nella scuola, nell’università e nella ricerca. Vi è poi la necessità di riformare il reclutamento: occorre quindi pensare non solo al concorso, ma anche rivedere la formazione e il reclutamento degli insegnanti. Infine sarebbe opportuno ragionare su un altro dato negativo.
Quale?
Giustamente si riscontra che in Italia ci sono meno laureati rispetto alla media europea. Questo dato è legato al fatto che negli altri Paesi, in particolare in Germania, non viene sviluppata solo l’istruzione tecnica ma anche quella terziaria di tipo B: come titolo di studio di terzo livello non c’è quindi solo la laurea, ma anche la qualifica legata all’istituto tecnico superiore. Questo significa anche favorire l’occupazione, in una sinergia tra impresa e mondo dell’istruzione.
Cosa possiamo fare da questo punto di vista?
Troppe volte vediamo laureati disoccupati quando invece mancano tecnici particolarmente qualificati. Questo aspetto è colmabile cominciando concretamente a non ritenere l’istruzione tecnica una formazione di “serie B”, e valorizzando gli istituti tecnici superiori (Its), che io introdussi quando ero ministro, ma che evidentemente vanno potenziati e valorizzati.
Dunque, alla base de I numeri da cambiare vi è la filosofia del “conoscere per decidere”.
Esattamente. Non dobbiamo aspettarci soluzioni miracolose calate dall’alto o ricette capaci di risolvere all’istante i problemi, ma partire anzitutto da una conoscenza adeguata dei numeri entro un raffronto internazionale. Occorre avere un patrimonio comune di conoscenze per avanzare soluzioni basate non su una lettura distorta dei numeri o addirittura sul loro ribaltamento, ma sulla conoscenza puntuale del sistema italiano e di quello europeo.
(Claudio Perlini)