Caro direttore,

il dibattito sui compiti a casa sì o no, pur viziato dalla consueta genericità e assenza di valutazioni quantitative, comincia ad avvicinarsi alla polpa vera dei problemi scolastici. Ma ancora manca la coscienza della incredibile anomalia italica che cerco di seguito di delineare.

1. Le 1.000 ore annue del curricolo tipo vigente in italia sono le più lunghe in Europa, dove le nazioni con i rendimenti più alti (Finlandia, Norvegia…) viaggiano sulle 700 ore annue. Di fatto è resa impossibile la settimana corta che è regola in tutta Europa salvo l’adozione del fenomeno mostruoso delle 6 ore consecutive di lezione vigenti in molte scuole superiori.



2. Si dice che la scuola italiana spenda meno, in riferimento al Pil, delle altre nazioni europee. In realtà non appare mai chiaro se nel calcolo del costo per lo Stato sia compreso l’onere comunale e provinciale (assolutamente unico nel suo genere) relativo alla costruzione, manutenzione e riscaldamento degli edifici scolastici. Ed i costi per il personale educativo di sostegno agli alunni disabili. Ma anche a prescindere (e non è poco) da questo, la spesa assoluta certificata Ocse per alunno è la più alta d’Europa. Inoltre essa, da noi e solo da noi, è quasi tutta legata a costi del personale e ciò significa che il materiale didattico è totalmente assente o gravemente carente.



Lo Stato fa come i comuni del meridione, che spendono tutto per assumere impiegati a danno dei servizi da erogare, in primis proprio la costruzione e manutenzione degli edifici scolastici. Cosa fare? Tutti i costi della scuola di Stato devono essere a carico dello Stato. Occorre ridurre le abnormi 30 ore attuali del curricolo nazionale a 20 ore settimanali, in linea con i volumi europei.

3. Vi è poi il nomadismo. La transumanza del personale che dal sud sale al nord e poi se ne va è assolutamente incompatibile con un funzionamento minimamente normale della scuola, soprattutto al nord. Inoltre i trasferimenti hanno la precedenza su tutti i provvedimenti del personale che quindi ne risultano sempre ritardati, dando vita al ritardo cronico nella nomina del personale annuale. Il rimedio sta nell’obbligo di dieci anni di insegnamento nella stessa provincia; nel ruolo provinciale e nel trasferimento possibile solo nella provincia o province limitrofe; nell’assimilare il trasferimento nella scuola al trasferimento intercomunale, dove è necessario il consenso bilaterale delle amministrazioni tra le quali avviene il trasferimento. Inoltre il trasferimento deve essere possibile tutto l’anno, per non essere costretti ad assistere ad una grande transumanza annuale che blocca tutti i provvedimenti di gestione del personale. Infine, occorre abolire le assegnazioni provvisorie che permettono di aggirare i piccoli attuali obblighi di stabilità.



4. Un altro problema sta nell’ingestibilità e nella bassa qualità del personale. Sono state eliminate tutte le procedure di valutazione in itinere del personale docente e direttivo. Sono ancora del tutto inefficaci le misure di selezione preliminare del personale. A questo proposito occorrerebbero due riforme: lo svolgimento di concorsi territoriali e un ruolo territoriale anziché nazionale, in modo da avere personale gestito non con titolarità di scuola e trasferibilità nazionale ma con titolarità e trasferibilità distrettuale o provinciale o regionale. Bisognerebbe poi creare una dirigenza distrettuale del personale a cui attribuire la gestione amministrativa separandola dalla direzione didattica, che deve rimanere in piccoli istituti di massimo 500 alunni.

5. La riforma Gelmini ha licealizzato perfino gli istituti professionali di stato invertendo la tendenza avviata dalla riforma Moratti-Bertagna. Il risultato è la stagnazione cronica della vita scolastica, il continuo deterioramento della voglia di insegnare e di apprendere, la separazione sempre maggiore della vita scolastica dalla vita e dal lavoro reale (la licealizzazione è una delle forme di ciò) a cui in teoria la scuola dovrebbe preparare. Da qui discende la progressiva diminuzione della voglia di studiare nella massa degli alunni ed anche il dilagare di comportamenti depressivo-trasgressivi. A questo proposito, l’ipotesi predisposta dalla riforma Moratti, quasi attuata nel 2006 ma bloccata dalla vittoria elettorale di Prodi, dovrebbe essere ripresa e rinforzata per dare dignità ai percorsi di studio professionali. I quali sono indispensabili, oltre che utili ai giovani ed all’economia, per la struttura psichica ed intellettuale di almeno il 50% del mondo giovanile che, come in tutto il resto d’Europa, trova nel rapporto precoce scuola-lavoro (a partire dai 15 anni) un felice ed appagante connubio.

Le misure indicate sono possibili a Costituzione ed ordinamento vigenti. Non richiedono alcuna variazione del contratto di lavoro del personale. Tuttavia, in prospettiva, Il contratto del personale statale dovrebbe a mio parere diventare molto più flessibile e prevedere sia il tempo pieno per i docenti sia le più svariate forme di part-time. In una prospettiva ancora più lunga potrebbe essere abolito il contratto degli statali con la creazione di un unico contratto docente del paese sia per un normale principio di equità sia per evitare anche le transumanze e le aberrazioni del passaggio dal privato al pubblico.

Ci sono poi tutte le misure pensabili su un ordinamento diverso che affidi alle regioni, comprese le future macroregioni, le competenze reali.