Caro direttore,

come responsabile nazionale scuola del Pdl non posso non espriemere apprezzamento per il ripensamento da parte del governo su una misura che ho sempre ritenuto profondamente sbagliata e offensiva nei confronti dei nostri docenti, un vero e proprio baratto previsto dalla legge di stabilità tra 15 giorni di ferie e 6 ore in più di attività lavorativa. 



Il rischio che questo provvedimento portava con sé, e contro il quale il Pdl si è battuto con fermezza, era quello di avvalorare l’immagine di un corpo insegnante che non lavora o, peggio ancora, quella formula del “ti pago poco-ti chiedo poco” che non può e non deve valere per un settore vitale della nostra società come quello della scuola. 



Senza considerare il fatto che, quando si punta il dito contro l’orario lavorativo degli insegnanti, si tende sempre a dimenticare quella parte di lavoro oscuro ma non per questo meno importante costituita dalla preparazione delle lezioni, dall’aggiornamento, dalla correzione dei compiti, dai colloqui con le famiglie, dalla partecipazione alle riunioni e dai progetti. Altro che 15 giorni di ferie in più!

Ora che il pericolo sembra finalmente scongiurato, il Pdl si impegnerà per passare dalle parole ai fatti, lavorando in Parlamento con le altre forze politiche per trovare una soluzione che consenta di mantenere fissa la barra del rigore senza per questo intaccare ulteriormente il settore scolastico.



Insieme alle mie colleghe del Pd e dell’Udc, l’on. Coscia e l’on. Santolini, stiamo già predisponendo un emendamento che abroghi la norma in questione e lavoreremo per individuare le risorse necessarie a coprire i 182,9 milioni di euro per il 2013 del mancato innalzamento dell’orario lavorativo degli insegnanti.

A tale proposito, come Pdl proporremo di reperire le risorse necessarie spalmando i tagli sui capitoli di spesa del ministero dell’Istruzione relativi anche all’università e alla ricerca e all’informatizzazione e su quelli di altri dicasteri. Abbiamo invece chiesto al governo che vengano salvaguardati i fondi per gli alunni con disabilità e quelli per la messa in sicurezza degli istituti scolastici.

La scuola ha già dato molto in termini di risparmi e di riqualificazione della spesa pubblica. Non si può chiedere di più. Non ci sono parti del bilancio del ministero che possano essere toccate in modo indolore e non solo per quel che riguarda i docenti, ma anche per ciò che attiene il Fondo per il miglioramento dell’offerta formativa, il fondo per l’autonomia, le risorse per gli alunni con bisogni speciali. 

Gli interventi del ministro Gelmini avevano l’obiettivo di riqualificare in modo serio la spesa del ministero, rispondendo agli obiettivi di risparmio pubblico. I tagli previsti dalla spending review non possono però pesare ancora solo sulla scuola, devono essere “spalmati”, passatemi il termine, anche sui capitoli di spesa dedicati all’Università e sulla Ricerca, in modo equo.

Poi, dato che la spesa maggiore del nostro ministero riguarda il personale − e non mi riferisco solo a quello della scuola in senso stretto − penso che il Ministero stesso debba indicarci, a partire da una pianta organica definita e conosciuta, quali risparmi derivino dall’applicazione della spending review sul personale amministrativo. Penso in particolare al taglio del 20% della fascia dirigenziale e del 10% di quella del personale.

Ci sono poi due altri aspetti che meritano la nostra attenzione. Il primo riguarda la riorganizzazione a livello territoriale e regionale del Miur, in parallelo alla riorganizzazione degli enti locali e ai trasferimenti di funzioni. Non è infatti escluso che da questo derivi un risparmio di risorse sulle spese di funzionamento delle sedi. Il secondo attiene le sedi centrali del ministero dell’Istruzione (in Viale Trastevere) e dell’Università e della Ricerca (all’Eur): quanto si potrebbe risparmiare accorpandole?

Solo dopo questa opera di razionalizzazione e di conseguente riduzione delle spese, si potrà passare ad un più sereno, completo e organico ripensamento del ruolo e dei compiti del docente, attraverso un costruttivo confronto tra tutte le parti in causa, dalle forze politiche alle rappresentanze sindacali. 

Un confronto che porti finalmente al giusto riconoscimento sociale ed economico delle specificità della professione e alla formulazione di un nuovo contratto di lavoro. 

 

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