La boutade del ministro Profumo sulla “reingegnerizzazione” dell’orario scolastico degli insegnanti ha fatto un bel po’ di danni, purtroppo. Sembra che dopo la levata di scudi di Pier Luigi Bersani e di tutto il Partito Democratico, quel provvedimento preso a sorpresa e in modo maldestro sia stato scongiurato. E siamo felici del fatto di aver trovato per la prima volta una certa sensibilità anche nelle altre forze politiche che sostengono l’attuale Governo.
Sarebbe stato l’ennesimo colpo alla scuola pubblica dopo anni di tagli, che avrebbe cancellato ben oltre i 182,9 milioni di euro richiesti dalla spending review (quasi un miliardo di euro a far proprio bene i conti), assieme a decine di migliaia di posti di lavoro.
L’orario degli insegnanti italiani è assolutamente in media con quello di altri paesi. Se togliamo le eccezioni, come i maestri diplomati spagnoli o gli insegnanti tecnico-pratici d’Oltralpe, scopriamo che differenze eclatanti non ce ne sono. Nella scuola media c’è chi lavora qualche ora in più (i danesi: 2 ore), chi lavora esattamente come gli italiani (gli spagnoli, ad esempio) e chi lavora un po’ meno (i francesi). Nella scuola superiore le 18 ore sono le stesse in Francia, in Spagna e in Italia. In Germania è vero, gli insegnanti hanno il 30% in più dell’orario, ma percepiscono uno stipendio superiore del 75%.
È vero infatti che gli insegnanti italiani ricevono il più basso stipendio d’Europa: da 4 a 10mila euro in meno. È questo il divario, rispetto alla media europea, tra lo stipendio di un insegnante italiano, a inizio e a fine carriera, rispetto ai suoi colleghi degli altri paesi dell’Unione. Inoltre le ore di lezione frontale (quelle in cattedra) sono soltanto una parte dell’attività di un docente, perché poi ci sono i compiti da correggere a casa, la preparazione delle lezioni, lo studio indispensabile per essere aggiornati, la programmazione delle attività collegiali, le riunioni coi genitori ecc.
A fronte del contratto di 18 ore settimanali, possiamo allora dire senza esagerazioni che le ore di lavoro effettive sono circa il doppio. E che sarebbe ora che il contratto dei docenti fosse sì rivisto, ma per conteggiare in busta paga tutto quel lavoro “oscuro” – poiché fatto a casa – ma indispensabile, offrendo agli insegnanti la possibilità di farlo in scuole aperte tutto il giorno.
Perché non abbiamo mai visto vere riforme in questo Paese, senza alcun conseguente investimento.
Dopo anni di tagli e di denigrazione, nella Carta di intenti Pierluigi Bersani scrive che “nei prossimi anni se c’è un settore della spesa statale per il quale è giusto che altri ambiti rinuncino a qualcosa è quello della formazione. Dalla scuola dell’infanzia e dell’obbligo all’università”. Questo esercizio vogliamo iniziare a praticarlo a partire dalla ricerca di coperture finanziarie per i 182,9 milioni di euro richiesti al Miur, poiché l’86% del risparmio della spesa statale di questi anni è stato pagato dalla scuola.
La “reingegnerizzazione” stavolta deve essere fatta altrove. Per esempio andando a tagliare lo 0,1% della spesa corrente del Ministero della Difesa (oltre 17 miliardi).
Se poi proprio dovessimo raschiare il fondo del barile di una scuola che costringe già le famiglie a mandare i figli in classe con una dotazione di sapone e carta igienica, suggeriremmo di tagliare le spese di acquisto delle licenze software per le nuove tecnologie, passando all’utilizzo di programmi “open source”. Questo risparmio, che stiamo cercando di quantificare, crediamo sia davvero cospicuo, se dovessimo adottare questa misura per l’intera amministrazione pubblica.
La verità è che grazie alla quotidiana generosità degli insegnanti, la scuola pubblica sta ancora in piedi. Anche noi vogliamo una scuola europea e di qualità per studenti e insegnanti. Il Partito Democratico chiede a questo Governo di invertire il segno e rimettere la scuola al centro dell’agenda delle politiche di sviluppo del Paese. Oggi gli insegnanti vanno in pensione vedendo con rammarico distrutti i gioielli di famiglia del sistema scolastico italiano per i quali hanno combattuto − scuola dell’infanzia, modulo e tempo pieno nella primaria − e i nuovi insegnanti entrano sfibrati dopo anni di precariato. Ecco, vorremmo che quando saremo chiamati al Governo del Paese, il passaggio del testimone tra le generazioni di educatori avvenga con un nuovo entusiasmo e slancio, per ricostruire la scuola pubblica di qualità di cui l’Italia ha urgente bisogno.