Il tema della formazione dei docenti in servizio è un tema molto dibattuto sia a livello nazionale che europeo. Ma cosa significa offrire occasioni di formazione agli insegnanti in servizio in questo momento? Da cosa/da chi può imparare un insegnante che lavora da diversi anni nella scuola per modificare o migliorare il proprio insegnamento? Da una curiosità personale che lo porta ad approfondire metodologie e modelli, da un interesse scientifico per la disciplina che insegna? Mi chiedo ancora come mai un folto gruppo di insegnanti provenienti dalle scuole di ogni ordine e grado italiane investe il proprio tempo e il proprio denaro per ritrovarsi con altri colleghi più o meno “giovani”…. per numero di anni di insegnamento a parlare di scuola, e quindi di italiano, matematica, lingue straniere, valutazione, libri di testo… ecc. Questo è quanto è accaduto all’ultima Convention di Diesse a Bologna.



I seminari di formazione a cui partecipo abitualmente come esperto sono frequentati da docenti annoiati, perché tanto non cambierà nulla nella loro carriera; irritati, perché il dirigente scolastico li ha “convinti” a partecipare ad un seminario che comporterà per lui/lei altro lavoro da portare a casa oltre quello ordinario. Oppure docenti che partecipano con un notevole carico di speranze, poi disattese dalle pastoie del “sistema scuola”. La Convention di Diesse ha trasmesso ad un “non-docente” quale sono io un entusiasmo contagioso per questo mestiere e un grande stupore. Stupore per la partecipazione e l’attenzione con cui tutto il folto gruppo di partecipanti ha seguito i lavori in sede plenaria, dove non stavano seduti sul tavolo dei relatori famosi docenti universitari o esperti, ma giovani insegnanti appassionati e desiderosi di comunicare la propria, seppur iniziale, esperienza di docenza. Una platea variegata (per sesso e per età) e attenta alle parole delle autorità locali, cariche di vita scolastica e non di promesse. Altrettanto interessati alle buone pratiche raccontate da una docente come loro, per attuare quello che il riordino dei cicli propone riguardo al tema della collaborazione tra scuola e impresa. Insomma un popolo all’opera. E gli insegnanti lo sono. 



Se il momento del convegno ha visto la platea partecipe e in ascolto, un momento molto vitale si sono rivelate le “botteghe”, momenti di condivisione tra pari in cui un insegnante circondato dai suoi colleghi racconta come ha lavorato su un tema specifico e sottopone al confronto con i pari i propri materiali dando vita ad un dibattito vivace e appassionato. 

Il  modello della bottega rinascimentale, dove il maestro competente trasmetteva sapere attraverso il saper fare, lo ha ripreso Antinucci (La scuola si è rotta, Editori Laterza, 2001) per esprimere i vantaggi dell’apprendimento percettivo-motorio come quello in cui l’apprendere risulta naturale e immediato. Nelle “botteghe” della Convention ciascuno manifesta interessi e aspettative per cercare di portare a casa qualcosa da poter riutilizzare in classe con i propri alunni. Quello che porto con me dopo una due giorni intensa come questa è l’urgenza di creare un dialogo tra le esigenze formative degli insegnanti e le necessità dei policy maker. Sarà possibile?