Per le scuole, come la mia, che da anni, senza risorse pubbliche ma con puntuali razionalizzazioni, hanno seguito la strada dell’informatizzazione, con i registri elettronici, l’apertura delle funzioni alle famiglie, l’utilizzo in classe delle Lim, la dematerializzazione, ecc., non possono non essere d’accordo col buon proposito del ministro Profumo.



Forse stupisce il riferimento, cioè quel richiamo ai docenti del Sud, invece di offrire una reale opportunità a tutta la scuola italiana. Li conosciamo i problemi delle scuole del Sud, il gran lavoro, in particolare, dei docenti e dei presidi nelle zone disagiate. Ma non possiamo nemmeno dimenticare come, in troppi casi, e si parla qui per conoscenza diretta, siano stati sprecati i Pon, comprese le stesse risorse per gli Ifts e ora per gli Its, con le “simulazioni aziendali”, con corsi virtuali, a fronte di risultati non sempre incoraggianti, senza cioè un corrispettivo fatto di riscontri e validazioni soddisfacenti. In poche parole, anche la scuola deve uscire dal cono d’ombra assistenzialistico. In generale, quindi, dare una mano ha un significato positivo solo se induce a risultati altrettanto positivi. Non “a prescindere”.



Nel merito, proprio perché da anni ho modo di utilizzare diverse tecnologie, non sono d’accordo col ministro Profumo, al di là degli effetti-annuncio, sul far diventare tutto digitale il mondo della scuola. La tecnologia, vale sempre la pena di ricordarlo, non è il fine, ma un mezzo. Anche se il clima culturale ci sta forse dicendo che non è chiara la distinzione tra mezzo e fine (penso qui ai tanti, troppi scritti di Emanuele Severino), chi vive nella sana quotidianità sa che quella distinzione è comunque un punto fermo.

Quindi, nel merito, le parole di Profumo vanno pensate, non subite. Nel senso che in primis i cambiamenti non sono mai a costo zero, e poi che gli stessi cambiamenti vanno accompagnati con una adeguata formazione sul campo.



Non basta, cioè, dire che la carta va tolta e sostituita da reti informatiche con terminali in ogni angolo (al posto delle circolari). Penso qui al fatto che solo un mese fa ho dovuto sostituire il vecchio server, con un costo che una scuola non sempre è in grado di sostenere. Ma penso anche alla formazione dei docenti e di tutto il personale. Non bastano cioè le decisioni drastiche o le buone intenzioni. Ci vogliono poi i reali comportamenti, le sane abitudini. Ad inizio anno, ad esempio, per i nuovi docenti in particolare organizzo un breve corso sul registro elettronico. Ma anche questo ha un costo.

Ammettendo che le reti informatiche non si blocchino mai (ma la realtà è altra), resta poi un riscontro importante: sono comunque da stampare i report mensili, trimestrali o quadrimestrali, anche solo per gli archivi e quindi per i controlli incrociati. Da quest’anno, ad esempio, intendo avviare la digitalizzazione dei compiti in classe. Una scelta importante, che va mediata con le ultime info del Garante della Privacy per la trasparenza. 

Esperienze positive ce ne sono. Penso qui alla buona consuetudine di garantire via skype agli studenti ammalati o all’ospedale un collegamento con la vita di classe. Buone cose, dunque, che sono più facili per i Tecnici ed i Professionali, per la presenza di assistenti tecnici qualificati, un po’ meno per i Licei. Ma cose da farsi comunque, con le difficoltà che sono facili da immaginarsi. Né sempre sono da supporto i docenti di informatica, oggi presenti nel Liceo delle Scienze applicate, non sempre di buon livello, perché i migliori informatici, proprio perché bravi, non scelgono oggi la scuola come proprio luogo di lavoro.

Tutto questo lo dico per ribadire una cosa, sempre nel quadro del rapporto mezzi-fini: l’informatica aiuta, ma non risolve i problemi all’interno di una scuola, come all’interno della segreteria. Non assorbe cioè tutto il concetto di efficienza. Contano prima le persone, le loro competenze, passioni, disponibilità.

Dal punto di vista didattico, infine, in che misura l’informatica aiuta? Gli apprendimenti, legati ai cosiddetti “nativi digitali”, ne sono realmente agevolati? Io non ho risposte nette. Perché da un lato so che una lavagna Lim in classe di certo può essere un ottimo strumento, ma so, dall’altra, che uno strumento è uno strumento. Socrate è diventato Socrate solo utilizzando il mezzo-parola, una parola pensata in forma dialettica, cioè come senso del domandare: per domandare so che cosa domando, ma se domando, la cosa che domando non la so. Quindi nel domandare so e non so, ma apro alla ricerca, chiedo, attraverso la ricerca, delle risposte, a loro volta convertibili in ulteriori domande: “la vita senza ricerca…”. Ecco, pensando anche alle Lim, mi viene in mente il paradigma socratico, che è il cuore educativo che non verrà mai cancellato o sostituito dall’uso, più o meno aggiornato, degli strumenti.

Non solo. Il cuore della scuola ci dice altre cose: che l’uso di una calcolatrice elettronica in matematica, per esempio, non può e non deve sostituire l’esercizio del pensiero, la fatica del calcolo, l’originalità di una formulazione, la ricerca di un termine.

Suggerisco, dunque, sempre agli studenti i quaderni di appunti, perché lo sforzo per una sintesi, rispetto ad una spiegazione, ad un testo, ad un teorema, comporta comunque un guadagno, nel cammino conoscitivo e nella costruzione di una personalità autonoma. Analisi e sintesi. Oggi, in particolare, la fatica della sintesi. Perché oggi tutti siamo più o meno bravi nelle analisi, più in difficoltà siamo nelle sintesi, nella individuazione dei punti salienti, del cuore di un problema, delle sue parole chiave. Ma una sintesi vale se anticipata da una analisi: che valore hanno gli sms dei nostri giovani, quando, invece, riducono un messaggio a pochi segni?

E chi tiene poi in conto che i ragazzi fanno oggi sempre più fatica a mettere in fila due pensieri, su un dato argomento? Chi li addestra, in questo senso, quando anche le prove orali, per le classi troppo numerose, sono fatte con esercizi scritti, magari a crocette?

Questa, ministro Profumo, è la scuola reale.

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