Finalmente Pensare in matematica. Basterebbe il titolo di questo libro per comprenderne pienamente la portata rivoluzionaria in una società dove l’azione del pensare occupa sempre meno spazio e tempo. Da appassionato insegnante di matematica, posso affermare che è diventato sempre più difficile riuscire a far osservare, pensare, ragionare. E la matematica è una disciplina che, forse più di tutte le altre, richiede del tempo per essere compresa in tutta la sua bellezza. Diceva il matematico e filosofo russo Pavel Florenskij: “La bellezza non è una cosa nella quale si possa penetrare immediatamente. O meglio, e più precisamente, ci si può penetrare anche subito, ma dopo esserci rimasti accanto per un po’, e dopo che nell’animo i vari elementi assimilati progressivamente si sono composti insieme in maniera organica”.
Questa affermazione vale per lo studente che muove i primi passi nella disciplina, ma anche e soprattutto per il maestro che è chiamato ad accompagnare il bambino nel mondo dei numeri e delle figure geometriche, ad “abituarlo a muoversi in modo spontaneo in questi mondi e ad avere un rapporto di familiarità, di intimità con gli oggetti che li popolano e poi, man mano, ad acquisire gli strumenti per manipolarli”. È questa relazione di intimità, secondo l’espressione di René Thom, la grande dimenticata nella didattica della matematica. Si tratta di restituire alla matematica il suo reale valore, a cominciare dal basso, ovvero dalla formazione di coloro che dovranno insegnare nel ciclo scolastico primario. Il libro, frutto del lavoro di Giorgio Israel e Ana Millán Gasca, nasce con questa motivazione: realizzare un manuale rivolto alla formazione dei futuri maestri, ma come spiegano gli autori stessi nell’Introduzione: “l’ambizione si è allargata rispondendo alla domanda su che cosa debba contenere un manuale rivolto alla formazione dei futuri maestri”. Perché l’ambizione si è allargata? Perché “al maestro si chiede – quasi più che a qualsiasi altro insegnante di matematica – di aver penetrato a fondo il senso dei concetti della matematica, del suo operare, di aver compreso la complessità di una disciplina che non è ‘procedurale’ ma neppure logica pura, o sinonimo del pensiero razionale; di una disciplina che ha un rapporto profondo con lo studio della natura ma non si identifica con esso; della disciplina scientifica che ha raccolto la sfida di manipolare il concetto di infinito”.
È possibile realizzare un obiettivo così ambizioso senza che il maestro si addentri nei concetti di base della matematica “esplorandoli più di quel che può sembrare necessario a prima vista”? La risposta degli autori è: assolutamente no. E tale risposta trova conferma anche nella mia personale esperienza di insegnante nella scuola superiore di primo e secondo grado: “a meno che non si concepisca la matematica come una scienza procedurale – ovvero come un insieme di regole operative”, non si può introdurre ad essa senza “una padronanza delle sottigliezze dei suoi concetti di base e delle innumerevoli difficoltà che sono state affrontate nel corso di secoli di riflessioni e di elaborazioni”. Inoltre, “se si comprende a fondo il senso dei suoi concetti anche le tecniche e le procedure diventano interessanti e persino affascinanti, e si impongono come indispensabili all’acquisizione della materia”. È in quest’ottica che Pensare in matematica non è soltanto un manuale per i maestri, ma una finestra spalancata verso l’orizzonte culturale della matematica. Si tratta di una vera e propria rivoluzione di metodo, dove il maestro è chiamato ad allargare il suo orizzonte, appassionandosi e approfondendo più di quel che è necessario “per la lezione del giorno dopo”.
Originale la risposta che viene data alla domanda sul perché dell’odierno analfabetismo matematico: “la risposta più diffusa è che la colpa è del cattivo insegnamento della matematica: libri mediocri, programmi obsoleti e privi di metodologie didattiche avanzate, insegnanti capaci solo di propinare regole meccaniche (l’insegnante di matematica è il più denigrato di tutti). Poi è sotto accusa una divulgazione mediocre che trasmette un’immagine poco attraente della disciplina. In tutte queste cose c’è del vero. Ma c’è dell’altro. Occorre ammetterlo: anche con il miglior libro del mondo e sotto la guida di un insegnante eccezionale, la matematica non è una materia come le altre. Sono gli oggetti di cui si occupa la matematica che la rendono diversa da tutte le altre materie”. […] La matematica parla “di oggetti astratti che vivono soltanto nel pensiero. […] Perciò, è inutile nasconderlo: insegnare, capire e divulgare la matematica è difficile perché la matematica è una disciplina difficile a definirsi e il cui oggetto è sfuggente”.
Che bello trovare un libro dove non si pretenda di definire fin dall’inizio “cosa siano la matematica e i suoi oggetti, magari ricavandone teorie e precetti didattici”. Sono ancora gli autori nel primo capitolo – intitolato tra l’altro “Che cos’è la matematica?” – a spiegarci in che cosa consista l’errore di iniziare un libro o un corso di lezioni fornendo tali definizioni: significherebbe “credere che esista UNA matematica universale, uguale a sé stessa, immutata dalla notte dei tempi e di cui si possa dare una definizione una volta per tutte”. Per comprendere tutta la portata di tale errore si rimanda alla lettura del libro, dove anche attraverso la storia si è condotti alla scoperta di una matematica che “si è evoluta in forme molto diverse e non è un quindi un monolite come talora si pretende”.
Pur considerando il riferimento alla storia come “la via maestra per capire il senso dei problemi e la formazione dei concetti della matematica, per inserirli nelle vicende della cultura e così togliere alla matematica l’alone di mistero e le caratteristiche esoteriche che la rendono invisa e incomprensibile”, gli autori trattano i concetti matematici non soltanto con un approccio storico. Essi ricorrono ai tre aspetti fondamentali del pensiero matematico, individuati dal grande matematico, insegnante e divulgatore Federigo Enriques: intuizione, logica e storia. Il mistero di cui le Matematiche sembrano circondarsi [Enriques, 1938] si svela attraverso l’illustrazione delle radici intuitive dei concetti matematici, la creazione di una familiarità con il modo di ragionare in matematica basato sul rigore logico, la scoperta delle origini storiche delle idee e delle tecniche introdotte.
Proprio in questo consiste la proposta di Pensare in matematica: un’avventura alla scoperta della matematica dove non esistono “scorciatoie” o vie facili (“non esiste una via regale”), ma è possibile perseguire la strada della chiarezza. Come sottolineano gli autori stessi, “non si può pretendere di rendere facile quel che non lo è, ma si può renderlo concettualmente limpido”.
Il libro è strutturato in modo tale che sia possibile seguire alternativamente un percorso che parta dallo studio dei numeri – oggetto dei Capitoli da 2 a 6 – e prosegua con lo studio della geometria – cui sono dedicati i capitoli 7 e 8, o un percorso, più aderente al processo storico reale, che prenda le mosse “dalla geometria euclidea classica per poi passare attraverso l’aritmetica prima di accedere alla geometria analitica”. In ogni caso, la tesi supportata dagli autori è semplice quanto controcorrente rispetto alla didattica della matematica odierna: “una buona introduzione alla matematica non può avere come punto di partenza l’algebra. […] Le porte della matematica sono l’aritmetica e la geometria”.
Il testo è arricchito da diversi capitoli che permettono una visione più ampia della disciplina matematica. Il Capitolo 9 è dedicato all’analisi matematica, nucleo portante della matematica moderna e contenuto chiave della didattica della scuola superiore di secondo grado. Il Capitolo 10, prezioso per la comprensione della visione moderna di concetti basilari come numero e retta, riguarda la matematica “assiomatica”. Il Capitolo 11 è dedicato all’introduzione elementare dei concetti della teoria della probabilità e della statistica. Il Capitolo 12 riguarda gli sviluppi più concreti della matematica: la matematica applicata, la modellistica, l’analisi numerica.
Significativa poi la scelta di proporre alla fine del libro un buon numero di esercizi e problemi relativi ai contenuti proposti, “perché la matematica si apprende soltanto addestrandosi a farne un uso diretto”. A tale scelta si unisce anche un approccio aperto e dinamico da parte degli autori che si impegnano ad inserire nuovi esercizi, problemi e letture di approfondimento sul sito web della Zanichelli http://online.scuola.zanichelli.it/israel/, tenendo conto anche delle reazioni dei lettori e delle loro richieste.
Infine, va letto tutto d’un fiato l’ultimo capitolo intitolato “Restituire la matematica alla cultura”. Ammetto di averlo letto più volte per ricordarmi l’importanza del mio mestiere di insegnante di matematica. Ho imparato a memoria l’affermazione che meglio ho visto descrivere una delle possibili derive negative dell’insegnamento della mia disciplina: “ecco quanto scriveva nel 1916 l’influente esperto americano di educazione Abraham Flexner ‘Ciò che è insegnato, quando è insegnato e come è insegnato dipenderà quindi completamente da ciò di cui v’è bisogno, da quando ve n’è bisogno e dalla forma in cui ve n’è bisogno’”. Ogni volta che sento la domanda “a cosa serve la matematica?” penso a questa frase e vedo il rischio in cui sarei potuto imbattermi se non avessi incontrato dei maestri come gli autori di questo testo: è infatti oggi prevalente la definizione di matematica come una scienza empirica, anzi un sapere “utile” a scopi pratici immediati.
Fortunatamente, nella storia c’è stato più di qualcuno che si è battuto contro i tentativi di ridurre la matematica a un sapere puramente pratico. Molte delle riflessioni contenute in questo libro sono frutto del periodo straordinario dei primi anni del 1900, quando matematici celebri come Felix Klein e Federigo Enriques, insieme a molti altri ricercatori e professori delle scuole di tanti paesi, svolsero un ruolo attivo nel ripensare le idee basilari della matematica e del suo insegnamento. Perciò ho accolto entusiasticamente questo testo come un invito a comprendere il valore e i significati della matematica, a trovare motivazioni per insegnarla in modo accattivante e profondo, per studiarla con autentico interesse, come sintetizza mirabilmente lo stesso Enriques nel suo “La matematica nella società e nella cultura” (1938): “Abbiamo rilevato il valore delle matematiche in tutti i rami dell’attività scientifica e pratica, nonché la potenza che esse recano allo spirito. Da ciò sorge l’interesse della società a diffondere largamente il possesso della cultura matematica e ad educare con questa larghi ordini di cittadini. Qui si affaccia di solito la domanda se all’insegnamento debba darsi piuttosto lo scopo formativo o informativo. Ma il dilemma è mal posto. Se coll’insegnamento informativo si intende di porgere all’allievo una serie di nozioni da accogliere passivamente come un dono, questo non ha ragion d’essere in alcun ordine di scuole, perché il dono di cosa estrinseca non arricchisce il povero che ne ignora l’uso: il maestro dona soltanto se stesso quando trascina e commuove e comunica qualcosa della propria vita al suo figlio spirituale. L’acquisto della cultura suppone sempre l’apprendimento dell’uso che possa farsene; il quale esige la partecipazione attiva dell’educato, ed ha un valore formativo”.
Chi ha scritto questo libro non solo crede nelle parole di Enriques, ma ha lavorato per anni con questa prospettiva, raggiungendo anche me per il modo nuovo di affrontare lo studio della matematica. Così leggere le pagine di questo testo, dal contenuto rivoluzionario, può diventare un’occasione di crescita per “chiunque sia interessato a introdursi alla matematica pur non sapendone assolutamente nulla”.
(Giorgio Israel, Ana Maria Millan Gasca, Pensare in matematica, Zanichelli, 2012)