Assemblea sindacale a scuola. Finalmente sentiremo, finalmente sapremo quali iniziative si intendono mettere in atto contro la proposta di Profumo. Arriviamo buoni ultimi: in altre scuole, si dice, avvampa la protesta, si è già sulle barricate, collegi dei docenti, compatti e tosti, hanno deliberato. Da noi calma piatta fino ad oggi e quest’assemblea, così tardiva, sembra quasi un atto dovuto.
I rappresentanti sindacali snocciolano il piano di protesta, che poi non è nemmeno molto originale e fantasioso: blocco di tutte le attività, comprese quelle previste dal Pof, cioè quelle (progetti e altro) nelle quali più si esplica la nostra capacità professionale, il nostro essere più di meri impiegati statali che timbrano il cartellino di ingresso e di uscita per certificare le famigerate 18 ore di insegnamento.
Si vola basso, come al solito. I sindacati volano basso, così basso che quando è stato indetto il concorsone di Profumo (vero primo attacco ai docenti, non solo precari) si sono accodati in silenzio, buoni gregari. Adesso vorrebbero mostrare i muscoli, per recuperare un po’ di credibilità. In aula magna ci sono anche i rappresentanti del personale Ata. Dopo una mezz’ora scivolano via, per riunirsi a parte. È anche logico: non sono stati attaccati frontalmente come noi docenti, non hanno, in fin dei conti, i nostri stessi problemi.
Siamo noi che non abbiamo un’identità ben precisa, e che siamo stati ridotti a passacarte. Siamo noi che, come dice infervorata una collega, regaliamo allo Stato ogni anno diciassette settimane di “lavoro nero”. Quello che ci portiamo a casa e che nessuno prende in considerazione, nessuno quantifica, nessuno riconosce. Siamo noi che (unici forse in tutto il mondo) facciamo ore di serie A (quelle riconosciute dal contratto) e quelle di serie B (la preparazione delle lezioni, la predisposizione e la correzione dei compiti che, per qualche docente, come me, raggiungono anche l’enorme numero di più di 900 all’anno).
Ma questo (che è il vero problema) non sembra essere all’ordine del giorno. C’è da deliberare sul blocco delle attività e a tutti viene un po’ il magone. Perché è vero che non siamo pagati e riconosciuti per tutto quello che facciamo; è vero che ci assumiamo responsabilità enormi (vedi quelle durante i viaggi d’istruzione); è vero che ci si chiedono sempre nuovi adempimenti che ci rubano altro tempo (ad esempio il registro elettronico). Ma è anche vero che a noi, ad una buona parte di noi, questo lavoro piace. È vero che c’è una parte di noi che ha la vocazione del missionario, per cui lavoriamo anche gratis quando pensiamo che questo sia per il bene dei nostri ragazzi. E ci dispiace, davvero, bloccare le attività.
L’ho spiegato in classe (è necessario che gli studenti siano informati), ma ho spiegato anche perché non parteciperò alla manifestazione indetta dai sindacati. Primo, perché non ci sto a fermare i progetti: mi sembra un vero e proprio autogol, un privarci della nostra professionalità. Secondo, perché per l’occasione i sindacati rispolverano una vecchia, gretta battaglia ideologica di basso profilo. La grande soluzione sarebbe quella di recuperare i soldi che servono cancellando il finanziamento alle scuole non statali, le cosiddette “private” (in realtà sono scuole “paritarie” primarie e dell’infanzia, non i “diplomifici”, ma su questo argomento la disinformazione, anche tra i colleghi, regna sovrana).
La soluzione geniale sarebbe quella di succhiarsi quest’anno la sommetta di 200 milioni, per poi costringere alla chiusura le scuole non statali (che già sopravvivono a stento) e riversare sullo Stato un esercito di studenti che significano miliardi di euro in più da spendere. E quindi, riavere, aggravato e ingestibile, il problema negli anni a venire.
Davanti a tanta insignificanza, a tanta grettezza, a tanta povertà di idee e, diciamolo pure, a tanto pregiudizio ideologico, reagisco ruggendo e, dopo un po’, abbandono l’assemblea. Non mi avranno, non sarò con loro. Se la facciano loro questa tardiva manifestazione che non dice nulla di nuovo. La scuola resta vecchia. E la resa dei conti è solo rimandata.