Caro direttore,

non esistono risposte giuste a domande sbagliate. Il dibattito sulla “protesta dei docenti” per le 24 ore ne è stato un esempio. Nonostante il lodevole tentativo di Fabrizio Foschi per avviare una discussione sulle questioni rilevanti per la professione, la reazione dei sindacati del comparto chiamati in causa è stata ancora una volta di tipo conservativo. Ognuno di loro ha riproposto come un mantra le proprie parole d’ordine: scatti di anzianità, difesa dell’esistente, e, soprattutto, più risorse.



Le risorse: a chi non piacerebbero? Ma, a parte il fatto che non ci sono e che anzi l’attuale fibrillazione nasce proprio dal tentativo di diminuire ancora quelle disponibili, ci sarebbe quasi da aver paura se realmente ci fossero. Perché l’abbondanza – o anche solo la disponibilità – di risorse finisce con il rinviare la necessità di decidere e quindi di scegliere. Ed invece la professione docente da troppo tempo è in sofferenza proprio perché coloro che ne monopolizzano la rappresentanza non riescono a cambiare rotta.



È un errore difendere tutto l’esistente, compreso l’indifendibile. Ed indifendibile è la pretesa di sostenere, contro l’evidenza ed il convincimento radicato della pubblica opinione, che tutti gli insegnanti sono uguali, che tutti fanno il massimo e che chiedere loro – o ad alcuni di loro – anche solo un’ora in più costituisca una sorta di bestemmia.

Non ci saranno più risorse che bastino ad innalzare significativamente le condizioni di tutti a parità di prestazioni: ma, anche se ci fossero, non sarebbe giusto utilizzarle per lasciare le cose come sono. Insistere sul “poco a tutti” è un messaggio negativo: vuol dire negare la professionalità di ciascuno e costringere tutti ad un’elemosina mortificante. Mortificante prima di tutto per il suo essere svincolata da meriti e qualità, prima ancora che per il suo importo.



In realtà, l’unico modo per uscire dal circolo vizioso fra una condizione impiegatizia, nella quale l’unico merito è quello di invecchiare, ed una retribuzione sempre più bassa consiste proprio nel cambiare il parametro di riferimento. Chi fa meglio sia pagato meglio: chi si impegna e contribuisce alla vita ed allo sviluppo dei propri studenti e della propria scuola progredisca più in fretta nella carriera. E non si continui a raccontare che già tutti lo fanno e che non possono fare nulla di più. Oltre a non essere credibile, questa è un’offesa proprio per quelli che lo fanno davvero.

Insomma, occorre uscire una buona volta da una finzione che non è più sostenibile, né sotto il profilo della credibilità né sotto quello finanziario. Occorre accettare di aprire la scatola nera della professionalità docente e riconoscere chi fa di più e chi fa meglio: anche se – o proprio perché – questo richiede che sia finalmente messo da parte il tabù della “non valutazione”. Come tutte le professioni, anche quella docente è valutabile: negli esiti di apprendimento, nella qualità e quantità dell’impegno, nella partecipazione alla vita attiva della scuola ed al suo funzionamento. Si potrà sempre dire che c’è dell’altro: ma farne un alibi per non cominciare da qualche parte significa continuare a ripetere all’infinito le formule di sempre, che non funzionano più.

Occorre andare fra i docenti (non fra chi sostiene di rappresentarli) ed ascoltarli: la maggior parte di loro vuole “essere riconosciuta” e sarebbe pronta a mettersi in gioco se gliene fosse offerta l’opportunità. Negare questo vuol dire far loro la peggiore offesa che si possa fare ad un professionista: assumere che abbia timore di far vedere quanto vale. Si crede di tutelare l’immagine professionale degli insegnanti mettendoli al riparo dalla valutazione? 

Le conseguenze di questa miopia sono sotto gli occhi di tutti. Quale ministro o quale Governo si sarebbe permesso anche solo di ipotizzare lo schiaffo delle 24 ore, obbligatorie per tutti ed a zero euro, se ci fosse stato un sistema di valutazione dei meriti individuali? Solo ad una folla senza volto si poteva immaginare di imporre una norma irragionevole ed iniqua come quella avanzata. Ma non basta indignarsi e respingere le misure immaginate: occorre capire perché sono state possibili e come si potrebbe fare per evitare che venissero riproposte. Altrimenti, i 180 milioni di euro di risparmio perseguito finiranno con l’uscire da qualche altra parte e sempre a spese di tutti: ma con un danno proporzionalmente maggiore per quelli che lavorano e meritano di più.

E quindi cominciamo finalmente a porci le domande giuste: chi sono i docenti che già oggi fanno meglio e contribuiscono più degli altri a sostenere quel che funziona del nostro sistema di istruzione? Chi e come deve essere chiamato a decidere sul merito? È proprio vero che una flessibilità oraria differenziata non costituisca una risorsa per i singoli e per la scuola (e non solo per farci le supplenze)? Vogliamo ricominciare a parlare di organico funzionale, quello vero, che nutre l’autonomia? Vogliamo guardare in faccia i singoli e non nasconderci dietro i grandi numeri?

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