Caro direttore, la lettera aperta di Fabrizio Foschi, pubblicata su Ilsussidiario.net rappresenta un’importante occasione di confronto, ma anche un modo per poter spiegare meglio il lavoro che da anni la Gilda degli insegnanti svolge accanto ai docenti. Un impegno mirato alla valorizzazione della professione e della professionalità di chi insegna. Proprio in questa ottica bisogna leggere anche lo sciopero proclamato per il prossimo 24 novembre. 



Un’azione di protesta che, è bene ribadirlo, verte su due nodi chiave che toccano da vicino il ruolo degli insegnanti e, quindi, di tutta la scuola: l’orario lavorativo e l’annosa questione degli scatti d’anzianità 2011.

La presentazione dell’emendamento alla Camera da parte dei tre partiti di maggioranza per l’abrogazione della norma contenuta nella legge di stabilità sull’aumento dell’orario delle lezioni frontali per i docenti (da 18 a 24 ore) è stato solo un primo passo. Si tratta, tuttavia, di un risultato al quale si è arrivati, tra l’altro, non senza un lungo e caparbio lavoro dei sindacati nell’incalzare Pd, Pdl e Udc. Impegno che non è ancora risolutivo, come ha dimostrato l’atteggiamento ondivago del governo che, solo dopo il ping-pong con la Ragioneria dello Stato sulle coperture, domenica 11 novembre ha presentato una correzione che scongiura l’aumento dell’orario. Ma la strada è ancora lunga e potrebbe riservare sorprese. Il ricorso ai voti di fiducia, infatti, e la cronaca recente ne fornisce un’ampia teoria di esempi, è sempre dietro l’angolo. Compito del sindacato, dunque, è continuare a vigilare. Lo sciopero va letto proprio in quest’ottica. 



Ma c’è una lettura più ampia della protesta che non va trascurata: dietro la proposta delle 24 ore, infatti, si cela l’altissimo grado di disattenzione e superficialità con cui si guarda agli insegnanti. Non si spiega altrimenti il solo ipotizzare una soluzione del genere nella legge di Stabilità. A dispetto delle statistiche Ocse sull’insegnamento in Europa che già fotografano un primato tutto italiano (un dato su tutti quello relativo alla scuola primaria con i docenti italiani che lavorano 770 ore annue contro le 758 della media Ue).

Pur rimanendo vigili sugli sviluppi della legge di Stabilità, inoltre, non c’è da abbassare la guardia neppure sui 183 milioni di tagli alla scuola previsti dalla spending review che sarebbero l’ennesimo colpo inflitto all’ istruzione e vanno assolutamente scongiurati.



Ma la mobilitazione è anche il nostro strumento per cercare di sbloccare il pagamento degli scatti di anzianità che sta diventando una telenovela. Veniamo da cinque mesi di trattative estenuanti e ripetuti incontri all’Aran che si sono risolti in un nulla di fatto. L’emanazione dell’atto d’indirizzo, finalizzato proprio a individuare le risorse aggiuntive a quelle già certificate per il recupero dell’anno 2011, infatti, ad oggi non esiste. Senza contare l’impegno in tal senso evaso dallo stesso ministro dell’Istruzione Francesco Profumo.

Che lo sciopero, infine, sia benedetto dalla categoria dei docenti lo confermano tutte le manifestazioni di protesta che si stanno susseguendo in questo periodo, dallo stop alle attività non obbligatorie (gite e viaggi d’istruzione in primis) fino alle gremite assemblee dei nostri iscritti in corso da Nord a Sud Italia. 

È scontato, poi, che la valorizzazione del corpo docente, nella sua professionalità e impegno, sia la nostra priorità. Una priorità che purtroppo si è scontrata con l’assenza di una visione globale e di lungo periodo da parte della politica. L’impegno con cui la Gilda ha portato avanti la sua battaglia sulla questione contrattuale ne rappresenta una lucida prova. Non a caso ad ottobre 2011 il sindacato era riuscito a far approdare in Parlamento ben due disegni di legge e uno di essi era mirato appunto all’istituzione  di un’area specifica di contrattazione per gli insegnanti. Con la caduta del governo Berlusconi, un mese dopo, naturalmente, il nostro tentativo di ridare forza alla categoria restituendole la dignità d’un tempo, si è arenato. 

La scuola, insomma, continua ad essere relegata in secondo piano. Diventa protagonista sempre e solo quando c’è da operare dei tagli. E questo vale per i governi passati, ma anche per quello attuale. Ciò che continua a mancare , infatti, è una politica economica illuminata in grado di investire sul futuro e, quindi, sull’istruzione. Un’inversione di marcia che sarebbe auspicabile, ma che vediamo ancora lontana. E la proposta di legge ex Aprea (sulla riforma degli organi di governo della scuola statale) lo dimostra in pieno. Quattro anni di gestazione per una norma che non solo non migliora la qualità dell’offerta formativa, ma penalizza fortemente gli insegnanti, trasformando la scuola in una qualunque azienda. 

 

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