Una dichiarazione di intenti con quattro firme in calce: quelle dei ministri del lavoro Ursula von der Leyen ed Elsa Fornero, e quelle dei ministri dell’istruzione, Annette Schavan e Francesco Profumo. A Napoli non ci sono state solo le proteste, segnate da violenti scontri e cariche di polizia e dal “caso” di un sindaco della città che era ospite e che non si è recato alla Fiera d’Oltremare prendendo, di fatto, la parte della piazza. Germania e Italia sottoscrivono un accordo europeo finalizzato alla formazione e all’occupazione dei giovani. «L’accordo ha tutti requisiti per essere subito operativo» dice a Ilsussidiario.net il sottosegretario Elena Ugolini, che ha collaborato a scrivere il memorandum di intesa per la parte relativa alla formazione e all’istruzione.
Sottosegretario, cosa contengono gli accordi firmati a Napoli?
I responsabili del lavoro e dell’istruzione di Germania e Italia hanno firmato una intesa per migliorare le possibilità di formazione, mobilità e occupazione dei giovani italiani e tedeschi. In concreto: la firma sarà seguita da azioni per il riconoscimento e la certificazione di titoli e qualifiche professionali, per scambio tra studenti e docenti, per favorire l’ alternanza scuola-lavoro in aziende italiane e tedesche, per conoscere e sperimentare il modello di formazione duale che, come ha detto il ministro del lavoro tedesco, ha ridotto in modo consistente la disoccupazione giovanile in Germania che 10 anni fa era arrivata ad una soglia preccupante.
Quanto ci vorrà per mettere in pratica il memorandum di intesa?
L’accordo ha tutti requisiti per essere subito operativo. A Napoli c’erano tutti gli interlocutori interessati: istituti tecnici, istituti professionali, centri di formazione professionale, Its, aziende italiane presenti in Germania, aziende tedesche presenti in Italia. In questi due giorni abbiamo raccontato esperienze di integrazione scuola-lavoro, modalità per migliorare l’offerta formativa nel settore tecnico e professionale, azioni di orientamento al lavoro e alle professioni e indicazioni concrete per trovare occupazione in Italia e in Germania.
In cosa consiste il «sistema duale» tedesco al quale ci stiamo ispirando?
È un sistema di formazione tecnico-professionale che prevede tre giorni alla settimana di formazione svolti in azienda e due a scuola. Attraverso un sistema assai complesso, che prevede la partecipazione del governo federale, dei laender e delle parti sociali – sindacati compresi -, si costruiscono percorsi integrati nei quali le materie professionalizzanti vengono fatte nelle aziende da tecnici specializzati interni che seguono i giovani assunti con contratto di formazione o di apprendistato, mentre le materie generali vengono fatte a scuola, negli istituti collegati alle aziende con cui costruiscono il percorso formativo. Nel caso in cui le aziende siano troppo piccole per poter avere una formazione interna, sono dei centri di formazione professionali esterni che la supportano nell’ attività.
Dove sta il punto di forza?
Le aziende tedesche in questi giorni hanno confermato la positività di un modello in cui l’azienda investe direttamente nella formazione giovani e contemporaneamente valorizza i tecnici e gli operai più esperti, avendo la possibilità di verificare sul campo le capacità di ragazzi che potranno essere assunti e dare futuro all’azienda. La direttrice delle risorse umane di Siemens Italia ricordava che l’azienda fa 2500 brevetti l’anno, la maggior parte sono stati fatti dai tecnici e non dai loro centri di ricerca.
E qual è il valore aggiunto di un contratto di apprendistato?
In Germania più di un milione e mezzo di giovani sono in formazione con un contratto di apprendistato. Questo contratto in Germania è la via maestra sia per acquisire una formazione tecnica e professionale all’avanguardia, sia per l’inserimento nel lavoro perché nella maggioranza dei casi si trasformano in contratti a tempo indeterminato. Le aziende tedesche ricevono sostegni sul fronte della formazione, sono supportate dal punto di vista organizzativo e sono avvantaggiate dal punto di vista del costo del lavoro come peraltro prevede la legislazione italiana.
Da noi invece quali sono i problemi aperti?
Ieri li ha elencati in modo puntuale la presidente deIla IX commissione della conferenza Stato-Regioni, Stella Targetti, indicando delle piste di lavoro. In Italia la gran parte delle aziende sono piccole, piccolissime o di medie dimensioni e vanno sostenute in un piano formativo che permetta di usare il contratto di apprendistato come uno strumento per fare “apprendere” un lavoro e fare acquisire quelle competenze che possano aiutare l’azienda stessa a crescere. Siamo all’inizio di un percorso di riordino dello statuto dell’apprendistato che si è avviato con il testo unico emanato nel 2010 dal ministro Sacconi ed è stato ripreso con forza, per la sua forte valenza formativa, dalla recente riforma sul mercato del lavoro come strada maestra per l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro e le Regioni devono ancora concludere l’iter con cui recepire queste norme generali. La prova di queste difficoltà sta nel fatto che i contratti di apprendistato di primo livello per i ragazzi dai 15 ai 24 anni (quelli finalizzati all’acquisizione della qualifica professionale o del diploma) sono ancora pochissimi. La stessa cosa vale per l’apprendistato di terzo livello, quello che può essere utilizzato per la laurea, i dottorati di ricerca e gli istituti tecnici superiori (Its). I 500mila contratti di apprendistato presenti in Italia sono quelli di secondo livello. Il tipo di contratto professionalizzante che prevede un orario minimo di formazione e si avvicina di più al vecchio modello. Personalmente ritengo ci sia un problema di fondo da affrontare. A differenza che in Germania, in Italia non si è ancora affermata l’idea che il contratto di apprendistato possa essere una modalità “conveniente” per l’azienda e per i ragazzi. Si è parlato recentemente della necessita di cambiare il nome a questa forma contrattuale per uscire dall’idea di “addestramento”. Penso sia sbagliato. Apprendistato deriva da “apprendere”, contiene l’idea che il lavoro sia un modo per apprendere, per fare proprio, per “prendere in mano” un capitale di conoscenza e di esperienza. È una parola che implica una “reciprocità, quella di chi desidera imparare e di chi desidera comunicare ciò che ha acquisito.
Cosa dobbiamo fare in Italia?
Dobbiamo mettere a sistema e fare crescere quello che c’è già imparando da chi ha gia fatto della strada in Italia, in Germania o nel mondo. In questi giorni i nostri colleghi tedeschi ci hanno ringraziato per le esperienze che abbiamo raccontato: il polo dell’economia del mare di Genova, il polo tecnico professionale e l’Its nel settore dell’aereospazio legato all’azienda Danieli di Udine, la Piazza dei mestieri di Torino, il polo dell’automotive di Lanciano, la bottega scuola della sartoria Kiton a Napoli, il polo turistico di Iesolo, la contrada degli artigiani di Cometa.
Cosa manca a noi per consolidare questo modello?
Riannodare in modo sistematico filiere formative e filiere produttive . È quello che dicono in modo sintetico le linee guida contenute nell’articolo 52 del decreto,sviluppo. Annodare non significa appiattire, ma “stringere” delle alleanze per condividere laboratori, risorse umane, competenze tecniche e professionali, opportunità di lavoro e di specializzazione, relazioni nazionali ed internazionali. Sono due i nodi attraverso cui questo trama può essere tessuta: i poli tecnico-professionali, reti finalizzate al raggiungimento di scopi molto precisi che possono nascere dall’incontro di istituti tecnici e professionali, centri di formazione profesisonale e almeno due realtà produttive, e gli Its, quelle scuole speciali di tecnologia che, dopo il diploma, hanno lo scopo di formare quei “super tecnici” di cui le aziende hanno bisogno. Questo livello di istruzione terziario non accademico, fortemente professionalizzante in Italia è all’inizio del suo cammino, ma costituisce una leva fondamentale verso una modalità nuova con cui pensare l’integrazione tra filiera formativa e filiera produttiva perché nasce da un progettazione congiunta, flessibile, ma ben strutturata, finalizzata all’occupazione immediata, ma con uno sguardo alle frontiere della ricerca e dell’innovazione tecnologica. Negli Its il modello duale tedesco è pienamente realizzato, si tratta, infatti di percorsi biennali che prevedono 1000 ore di formazione, svolte per il 50% da esperti del mondo del lavoro e 1000 ore di stage in azienda.
Ma chi sovrintende alla costruzione di questi poli?
La responsabilità della programmazione dei poli è regionale. Le linee guida hanno messo d’accordo Miur, ministero dello Sviluppo economico, ministero del Lavoro, Regioni, Province e Comuni. Ma il dominus nella programmazione sono le Regioni che dovrebbero agire in modo sussidiario, valorizzando, mettendo a siistema e facendo crescere quel che c’è, anche in una prospettiva di collaborazione multi regionale e internazionale.
In altri termini?
Tenendo conto delle realtà produttive, della realtà delle scuole e dei centri di formazione senza imporre dall’alto delle scelte solo per motivi di tipo consociativo o elettorale. Non si può non partire dalle filiere esistenti, le uniche che possono fare da volano di sviluppo ai territori e farne nascere anche dove ancora non ci sono.
Un esempio?
Una regione non può dirmi: − facciamo un polo per provincia −, perché in una provincia ce ne possono essere tre di poli possibili, in un’altra nessuno. Occorre evitare di fare cattedrali sul nulla.
A Napoli la protesta era tale che i manifestanti si sono scontrati con le forze dell’ordine. Si poteva evitare?
La scelta di Napoli è nata dal desiderio di dare un segnale di attenzione concreto aimgiovani. Con il presidente della regione, con gli assessori alla formazione e alle attività produttive stiamo facendo il lavoro che prima ho descritto. Esistono delle filiere produttive importanti su cui annodare tutte le filiere formative e della ricerca per migliorare le possibilità di crescita e di occupazione dei giovani. In Campania sono tanti i campi di azione: l’aereospazio, i compositi di carbonio, i trasporti, l’agroalimentare, il turismo, la moda e l’ artigianato… Per citarne solo alcuni. C’è un problema di comunicazione, è vero: dobbiamo riuscire a far capire di più quello che il governo sta facendo, ma di questa conferenza si parlava già da tempo e nei termini di un accordo di programma per aumentare l’occupazione dei giovani, non per fare delle parate. Sono stati due giorni che hanno confermato le aspettative: le aziende chiedono competenze tecniche, disponibilità alla mobilità e competenze linguistiche. Sono pronte ad investire su persone curiose, che hanno voglia di imparare e sanno guardare in faccia a chi hanno davanti. Questo hanno detto i direttori delle risorse umane di grandi aziende che si sono messi a disposizione dei ragazzi presenti alla conferenza e dei loro compagni di scuola. Ho visto il desiderio di realizzare qualcosa di buono per i nostri ragazzi. Il ministro del Lavoro tedesco lo ha detto subito: “il futuro dei ragazzi comincia adesso. I giovani non possono aspettare”. Sinceramente penso che, qualunque cosa avessimo fatto prima, quelle manifestazioni ci sarebbe stata comunque e nei modi che abbiamo visto. C’è da dire che il resto lo fa la nostra miopia e il nostro provincialismo.
Cosa intende dire?
Alla conferenza stampa, presenti il ministro tedesco e il ministro italiano del Lavoro e il nostro ministro dell’Istruzione, le uniche domande sono state per il ministro Fornero, sugli esodati e sui tafferugli. Non c’è stato un solo giornalista che abbia fatto una domanda al ministro del Lavoro tedesco.