Recentemente si è intensificato il dibattito sulla valutazione degli insegnanti, stimolato tra l’altro dallo stesso ministro Profumo. Il tema della valutazione è emerso anche nel dibattito, che si è svolto su queste pagine, intorno al contratto e alle proteste dei docenti. Per il resto sono in molti a proporre vari modelli di valutazione: ma è quanto meno singolare che a nessuno sia venuto in mente di interpellare i diretti interessanti, cioè i docenti.
Io, semplice docente, mi limiterò a proporre qualche spunto di riflessione. Innanzitutto un’osservazione forse scontata: il semplice fatto che i docenti (o come vedremo le scuole) debbano essere sottoposte “ufficialmente” ad una valutazione che certifichi il “tasso di merito” è nello stesso tempo ovvio e sconvolgente.
Mi spiego. Non c’è categoria forse più quotidianamente sottoposta a giudizio degli “utenti” che gli insegnanti. Per comprendere la mia osservazione basta un confronto con altre due categorie di interesse generale.
I medici, innanzitutto. Saltano alla ribalta per casi di malasanità, per fortuna non così frequenti; ma non vi è un monitoraggio così stretto da parte degli utenti del servizio (a parte forse i medici di base). I politici, poi: è vero che sono sempre sotto la lente di ingrandimento, ma il loro controllo è indiretto, cioè tramite mass media o altri politici (che però spesso non hanno interesse a far emergere un sistema inefficiente).
Gli insegnanti invece sono oggetto delle attenzioni amorevoli dei genitori che chiedono ogni giorno come è andata a scuola, che cosa si è fatto o non si è fatto. Le richieste degli insegnanti incidono nel vivo della vita familiare (i pomeriggi, lo sport, il fine settimana). Ogni bambino ma soprattutto ogni ragazzo ogni giorno giudica la singola lezione, la preparazione del docente, la sua capacità di tenere la disciplina. È quindi ovvio per un insegnante essere, sentirsi sempre giudicato.
La questione nuova, che ai più appare sconvolgente, sembra essere invece un’altra: il giudizio in qualche modo influirà sulla sicurezza del posto di lavoro? Sulla retribuzione? Insomma: avrà una qualche conseguenza?
Finché un docente nullafacente o incapace era sicuro che qualunque giudizio si avesse su di lui questo non avrebbe minimamente influito sulle sue sicurezze “contrattuali”, il giudizio poteva essere considerato pressoché indifferente. Ma adesso? Che cosa sta cambiando?
La situazione di crisi che stiamo vivendo può essere vissuta davvero anche come grande opportunità per un risveglio “morale”. Scuola compresa. Come risulta inaccettabile che un importante manager abbia stipendi da capogiro e benefit se porta la sua azienda al fallimento (le banche americane fanno vedere che non sto parlando di casi ipotetici), così nella politica, nella sanità, nella scuola certi comportamenti non sono più tollerabili.
Nel caso specifico della scuola la verità non può essere nascosta: a fronte di un impegno più che encomiabile di alcuni idealisti, si è assistito al disimpegno di altri, per lo meno opportunisti. È possibile continuare così, ritenendo la situazione senza alcun dubbio immutabile? Io penso di no. Né penso a super riforme di facciata che cambino tutto per non cambiare niente. I tempi sembrano maturi per cogliere una grande opportunità: una spinta all’emulazione verso una qualità sempre maggiore, sia come singoli docenti che come scuole.
La sfida che ci attende è grande ed è innanzitutto culturale più che contrattuale. È giusto che la professionalità ed il lavoro vengano apprezzati e valorizzati, altrettanto che certi comportamenti scorretti siano in qualche modo sanzionati.
Passato il principio, gli strumenti applicativi si trovano. Per esempio: perché non responsabilizzare i dirigenti e gli stessi docenti, in vista di una valutazione non solo del singolo docente ma della scuola? Perché non pensare al consiglio di istituto, strumento pressoché formale, come ente preposto ad una parte della valutazione interna? Perché non creare un sistema virtuoso per cui sì il dirigente valuti l’operato dei docenti, ma anche parte del suo lavoro sia valutato dal corpo docente? Perché non valorizzare docenti che possano dare un grosso contributo di competenza disciplinare attraverso il loro impegno in collaborazione con l’università o in generale la ricerca con pagamento in tempo anziché denaro?
Mille potrebbero essere le proposte. Quelle che avanzo a titolo di esempio, come si vede, sono lontano da logiche di test somministrati per vagliare un qualche punto non sempre fondamentale della conoscenza di una disciplina. Una nozione forse si può dimenticare, ma recuperare preparando una lezione. A mio avviso la valutazione dovrebbe riguardare la capacità di lavorare con i ragazzi, di collaborare con colleghi e dirigenza, di vagliare con responsabilità tra le conoscenze trasmissibili quelle fondanti, e via dicendo.
Le mie sono solo alcune semplici riflessioni, che però rimandano a due punti fermi. Primo: il principio del merito deve in qualche modo entrare anche nella scuola, non per penalizzare qualcuno ma per premiare chi nonostante tutto rende la scuola italiana una delle più apprezzate al mondo. Secondo: nella scuola credo che una parte considerevole sia da attribuire non solo al singolo individuo ma al team. Gli sforzi individuali possono essere spesso soffocati o sabotati da invidie, gelosie, meschinità. Occorre invece che si instauri la mentalità del gruppo di lavoro che persegue un obiettivo comune. Meglio se un fine comune.