Caro direttore,
ho letto con un misto di sconforto ma anche di sottile piacere le dichiarazioni lacrimevoli e minacciose ad un tempo di Domenico Pantaleo, segretario Flc Cgil, uscite su queste pagine. In particolare, là dove scrive che la scuola durante gli anni del governo Berlusconi è stata “impoverita con tagli che possiamo definire epocali”. E poi: “Pensare di poter di nuovo procedere ad un ulteriore taglio riteniamo sia una scelta scellerata. (…) La mobilitazione del 24 novembre prossimo che vede tutte le organizzazioni sindacali unite per respingere l’ennesimo attacco alla scuola pubblica e al personale (…) e ha al centro (…) soprattutto la rivendicazione di nuovi investimenti per l’istruzione”, etc.
Ecco, mi dico, finalmente santa crisi sta sgonfiando l’enorme bolla di falsità e luoghi comuni sulla scuola che per trent’anni tutti avevano contribuito a costruire. Stavolta i soldi sono davvero finiti e adesso il sindacato viene lasciato col cerino in mano davanti a milioni di insegnanti e studenti allevati per anni con gli slogan sulla necessità di finanziare sempre di più la scuola di Stato e sulla presentazione di qualunque taglio della spesa come un delitto inammissibile.
Ecco, per trent’anni si è dilatato abnormemente il numero dei docenti usando vari temi, a volte pertinenti, ma portati all’esasperazione ai fini sindacali: la riduzione degli alunni nelle classi, la riduzione di due ore del tempo docenza dei maestri, l’aumento abnorme dei curricoli scolastici, la diffusione della sacralità didattica pedagogica e sociale del tempo pieno, l’aumento continuo degli insegnanti di sostegno e delle tipologie di handicap riconosciute.
Ed altre idee erano pronte per continuare il delirio. Ma i soldi sono davvero finiti ed a tagliare è il governo “amico” e l’Europa “amica”! Che guaio.
Eppure, il grasso eccedente nella scuola esiste e si può dimagrire senza dolore, anzi aumentando il benessere. Vorrei soffermarmi in particolare su uno dei filoni gonfiati a dismisura dagli amici della scuola: il gigantismo dei curricoli. Ogni anno i dati Ocse ci ripetono che le 1000 ore annue di tempo scuola alunni in uso in Italia sono di circa il 30% superiori alla media europea. Inoltre il curricolo totale italiano dalla prima elementare al diploma prevede 13 anni contro i 12 dei principali paesi europei. Di più, la differenza aumenta se si confrontano i dati italiani con quelli dei paesi con i maggiori indici di successo formativo, come la Finlandia.
Quindi la pesantezza del nostro curricolo non solo è costosa ma è controproducente sul terreno dell’apprendimento. Questi dati di una chiarezza lancinante vengono, assolutamente o furbescamente, ma comunque tragicamente, ignorati dagli amici della scuola.
Per cui la cura dimagrante semplice e sicuramente efficace viene ignorata: basterebbe ridurre, come in Baviera, a 45 minuti la durata di ciascuna delle trenta ore di lezione settimanali in vigore nelle nostre scuole per rendere vivibile la condizione degli studenti, introdurre e generalizzare la settimana corta, ridurre stanchezza, noia e ansia da prestazione senza eguali in Europa e contemporaneamente ridurre anche di 1/4 la spesa per stipendi.
È incredibile la goffaggine di tutti i tentativi di ignorare e nascondere questa linea di forza. Non sarebbe nemmeno necessario diminuire il numero di occupati: il residuo di docenza settimanale, pari a 18:4= 4,5 ore per ogni docente della secondaria e 22:4= 5,5 per i maestri, consentirebbe di mettere fine al precariato ed alle supplenze esterne.
Ecco dove si può e si deve tagliare, e non dolorosamente ma beneficamente. Per evidenziare meglio la irresponsabile quanto irresistibile curva dell’aumento del tempo scuola degli alunni negli ultimi 30 anni riporto alcuni dati. Quando nelle fabbriche e negli uffici si lavorava 48 ore settimanali le ore di lezione settimanali erano 24 alle elementari e andavano da 22 a 25 nelle scuole medie ginnasiali e nei licei. Nelle scuole tecniche e professionali le ore erano 36 ma a fronte di più di 10 ore settimanali di laboratori non caricati di apprendimento astratto e di compiti. Oggi si lavora nel pubblico impiego massimo 36 ore settimanali ed il tempo scuola alunni è minimo di 30 ore.
La scuola media unificata del ’63 prevedeva 25 ore settimanali obbligatorie e 4 ore facoltative e inizio lezioni al primo ottobre. Fu nel ’79 (ministro Malfatti, governo Andreotti III) che sotto la spinta del tempopienismo l’orario, obbligatorio e uguale per tutti, fu portato a 30 ore settimanali nella scuola media. Ma non era finita, nel 1983 fu introdotto alle medie il tempo prolungato, su base volontarie delle famiglie, che prevedeva da 36 a 40 ore settimanali di aula più le ore dell’intervallo mensa. La prova che il tempopienismo era un dogma sindacale e non un desiderio di aiuto alle famiglie, sta nel fatto che nessuna scuola propose tempo prolungato di 40 ore ma tutte si fermarono a 36 con tre pomeriggi settimanali quando le vere madri lavoratrici ovviamente lavorano su 5 giorni.
La spinta tempopienista, con epicentro alle medie, si dispiegò poi alle elementari dove il tempo scuola fu portato a 30 ore settimanali e perfino alle superiori, dove l’espansione e la prospettiva Brocca indicavano in 36 ore settimanali per tutti l’ideale scolastico.
Nessuno ha confutato sul piano teorico il tempopienismo, questo è il vero guaio italico, per cui solo la fine dei soldi ha costretto prima a negare la generalizzazione obbligatoria del tempo pieno e poi ad iniziare una leggerissima erosione dei curricoli.
Ci provò per prima la Moratti che nel 2005 riportò le ore obbligatorie della media da 30 a 27 con ulteriori 3 ore facoltative, ma la sua timidezza teorica le fece introdurre la seconda inutile e costosa lingua straniera obbligatoria, impedendo così il ritorno alle storiche 25 ore. Nei due governi successivi, uno di sinistra ed uno di destra le ore sono state riportate a 30. In seguito la Gelmini ha portato ufficialmente a 30 ore il curricolo delle superiori dove già si facevano 30 ore, pagate 36. Infatti negli istituti superiori tecnici dove l’orario ufficiale era di 36 ore settimanali, queste si riducevano silenziosamente a 30 facendo quasi di nascosto ore di 50 minuti con l’accordo di tutti sulla base di argomenti pietistici verso i poveri alunni che venivano da lontano. Ma il tempo docenza risparmiato non era computato e restituito. Quindi gli amici dello studente non confutavano didatticamente le 30 ore ma le volevano pagate 36. Sarò malizioso, ma secondo me se oggi qualcuno proponesse un curricolo di 20 ore pagate 36 il consenso sarebbe unanime…
Sta di fatto che la bufera tempopienista è stata così forte, devastante e dominante che ancora oggi tutti ignorano il gigantismo dei curricoli, compresi i poveri studenti assolutamente schiacciati e strumentalizzati, e piangono inutili, ed a volte finte, lacrime amare.