«Per molti aspetti, il vituperato concorsone che sta per partire allo scopo di assegnare un numero imprecisato (ma basso) di cattedre a un numero altrettanto imprecisato (ma altissimo) di candidati, è un atto dovuto. Non era decentemente possibile protrarre una situazione di stallo in cui da dieci anni chi usciva dall’università con l’intenzione di insegnare sapeva che avrebbe potuto farlo vincendo un concorso che, come Godot, non arrivava mai. (…) Questa, però, è l’unica cosa positiva che si può dire. Ci sono forti dubbi sulla possibilità effettiva che questo tipo di concorso selezioni realmente i migliori».
Parole (peraltro molto condivisibili) che sembrano pronunciate oggi e che invece si trovano in un articolo pubblicato sul Sole 24 Ore dal titolo Arriva il concorso, addio autonomia del 22 marzo 1999 a firma di Luisa Ribolzi, una delle tante ed autorevoli voci che oltre un decennio fa commentava così il maxi concorso indetto dall’allora ministro Luigi Berlinguer. Chi scrive aveva allora 12 anni e si preparava ad andare in seconda media. I nodi e le problematiche segnalate allora, non sono mai stati affrontati e, col passare del tempo, si sono ingigantiti e “incancreniti” ancora di più.
Solo per fare un altro esempio, il 20 gennaio 2001 sul Corriere della Sera un gruppo di 130 parlamentari attaccava il concorsone di Berlinguer al grido “No al concorso-lotteria” paragonando i quiz previsti a “Rischiatutto e gratta e vinci”. Stessi termini che abbiamo sentito in questi ultimi mesi associati alle travagliate vicende dei test per i Tfa e al prossimo mega quiz per il concorsone del ministro Profumo.
Dieci anni dopo nelle vicende di politica scolastica italiane non sembra essere cambiato quasi niente; eppure si sono susseguiti diversi ministri e sottosegretari, tecnici e politici, di destra e di sinistra, ciascuno dei quali con una propria ricetta, una propria formula magica sotto forma di riforma e di decreto che avrebbe dovuto rilanciare una volta per tutte il nostro sistema scolastico. E invece eccoci qua: stessi problemi, stessi nodi da sciogliere e purtroppo stesso metodo (fatto per lo più di slogan vecchi e vuoti) nell’affrontarli.
Si prenda ad esempio le parole pronunciate qualche mese fa dal ministro Profumo nel corso della cerimonia di inaugurazione dell’anno scolastico al Quirinale, dove ha affermato: «La scuola, come luogo fisico, diventerà un ambiente di interazione allargata e di confronto, che mano a mano supererà gli spazi tradizionali dell’ aula e dei corridoi. La immaginiamo come un vero e proprio Hub della conoscenza. Aperto agli studenti e alla cittadinanza, centro di coesione territoriale e di servizi alla comunità, un vero e proprio centro civico».
Si potrebbe commentare: “Centro civico o centro sociale. Come canta Vasco Rossi: “che differenza c’è?”. Pochi giorni dopo il ministro, durante una visita a Monterosso, città ligure danneggiata lo scorso anno dall’alluvione, parlando della sua ricetta per uscire dalla crisi ha affermato: «Il Paese va allenato. Dobbiamo usare un po’ di più il bastone e un po’ di carota e qualche volta dobbiamo utilizzare un po’ di più il bastone e un po’ di meno la carota. In altri momenti bisogna dare più carote, ma mai troppe». Sorprende scoprire che il primo ad utilizzare questa espressione fu, in tempo di guerra, nientemeno che Winston Churchill il quale, rispondendo il 25 maggio 1943 ad un gruppo di giornalisti circa le possibilità per costringere l’Italia alla resa, disse: «Continueremo ad agire sull’asino italiano (“on the italian donckey”) da ambedue le parti, con una carota e con un bastone». Il grande Churchill nel pronunciare quelle parole, parlava da capo di una nazione nemica in guerra. Stupisce che la stessa espressione sia stata riutilizzata da un ministro della Repubblica. Sembra quasi che questa nuova classe dirigente di tecnici, voglia innalzarsi ad una funzione quasi educatrice nei confronti di un “popolo bue”, pieno di difetti e di vizi che solo una guida “illuminata” può superare. Un popolo che per definizione è ignorante, incapace di decidere e di cambiare.
Eppure forse ci si dimentica troppo spesso che chi si impegna in politica e nelle istituzioni pubbliche deve avere innanzitutto una dimensione di servizio degli altri, tecnico o politico che sia: come ci dice la stessa etimologia della parola ministro (minister), cioè colui che è al servizio in maniera competente.
Certamente molti atteggiamenti diffusi vanno corretti e aggiustati. Ma il rispetto per i cittadini non può mai venire meno. E la nostra scuola non ha bisogno né del bastone né della carota, né di essere trasformata in un grande centro civico (anche se magari tecnologico e all’avanguardia!). Forse i problemi sono rimasti inalterati e irrisolti perché invece di partire da quello che già c’è nelle nostre scuole, si è spesso partiti da slogan e da progetti riformatori, sistemi per dirla con Eliot, “talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d’essere buono”. Chissà cosa accadrà nei prossimi mesi attorno al concorsone che vede coinvolti oltre 320mila aspiranti docenti… Forse occorre cambiare metodo. Iniziare a guardare per davvero quello che già c’è nella scuola.
Per fare solo un esempio personale, un mese fa ho partecipato a una due giorni di formazione promossa dall’associazione Diesse dove erano presenti 800 insegnanti provenienti da tutta Italia che si sono confrontati sul loro lavoro, raccontandosi esperienze, segnalando problemi, approfondendo temi didattici. C’è una foresta che sta crescendo nelle nostre scuole, e non chiede privilegi o chissà che cosa. Chiede di essere guardata, ascoltata, non ostacolata e, nel caso qualcuno se ne accorga, sostenuta e valorizzata. C’è qualcuno disposto a farlo?
Twitter @Francesco_Magni