Da molto tempo la stampa parla degli insuccessi in matematica di allievi di tutte le età, dalla primaria alla scuola superiore. La matematica è giudicata difficile per sua natura. Ma la discalculia, di cui molto si parla ora nella scuola, non coincide con la difficoltà in matematica. La discalculia fa parte di una grande famiglia di disabilità: dislessia, disortografia, disgrafia, discalculia, detti disturbi specifici di apprendimento (Dsa) o meglio disabilità specifiche dell’apprendimento, di origine neurobiologica.
La discalculia riguarda le difficoltà nella rappresentazione dei numeri, nel passaggio dal codice verbale al codice arabico, e nelle operazioni.
Disabilità è la negazione di abilità, che è la capacità di mettere in atto una serie di azioni, in sequenza tra loro, in modo rapido ed efficiente, per raggiungere uno scopo col minimo dispendio di risorse. La diagnosi di Dsa riguarda persone di normale intelligenza, dotate, secondo la ricerca, di molti aspetti positivi. Un testo (Stella-Grandi, Come leggere la dislessia e i Dsa) elenca: capacità di memorizzare per immagini, approccio inusuale e diverso alle materie scolastiche, capacità di fare collegamenti non convenzionali, creatività e capacità di produrre facilmente nuove idee, propensione alla selezione di argomenti in una discussione, abilità nelle soluzioni di problemi che richiedono di immaginare soluzioni possibili. Le modalità di apprendimento dei ragazzi con Dsa sono magistralmente rappresentate dal film “Stelle sulla terra”, diretto da Aamir Khan (2008).
Anche se i Dsa permangono nel tempo, le abilità di lettura, scrittura e calcolo tendono a migliorare. Il momento più critico della loro manifestazione è il periodo scolastico, per lo scontro con la rigidità dei criteri del sistema educativo, che privilegia metodi legati alla lettura e alla scrittura e identifica la matematica con il calcolo, senza valorizzare le capacità positive di ciascuno. Spesso i vari disturbi si presentano insieme, si parla allora di comorbilità, che rende più complesso l’intervento.
Le ricerche rilevano che circa il 20 per cento degli alunni (soprattutto nel primo biennio della scuola primaria), manifestano difficoltà nelle abilità di base coinvolte dai Dsa. Ma di questo 20% solo il 3 o 4 per cento (o meno) presenteranno effettivamente un Dsa, che può venire diagnosticato solo dopo la terza classe (primaria). Quindi una prestazione atipica solo in alcuni casi implica un disturbo. Qui il cerchio si chiude tornando al campo più vasto delle difficoltà in matematica e alla ordinaria didattica.
Nelle Linee Guida per il diritto allo studio degli alunni con Dsa emanate dal Miur si afferma che “la realizzazione delle strategie educative e didattiche deve sempre tener conto della singolarità e complessità di ogni persona, della sua articolata identità, delle sue aspirazioni e delle sue fragilità, nelle varie fasi di sviluppo e formazione”. Cosa vuol dire nella vita quotidiana della classe?
Come insegnante di matematica (e formatrice di insegnanti), mi interessa capire come la discalculia interessi la normale attività didattica. Mi scontro subito con una frase contenuta nelle Linee Guida: “Sulla base di una impostazione tuttora ritenuta valida, la didattica trae orientamento da considerazioni di carattere psicopedagogico”, affermazione che sembra suggerire (insieme ad altre che si rilevano nel documento) la prevalenza delle competenze dei terapeuti sulle competenze didattiche degli insegnanti. Questa impressione scoraggia gli insegnanti. Ma le scelte didattiche interne alla matematica sono molto importanti, perché i vari modi di intervenire sulla disciplina non sono equivalenti. Per insegnare matematica, soprattutto nei primi anni, occorre sapere come si sviluppa il pensiero matematico in un percorso a lunga scadenza, per poter dare da subito un giusto orientamento sia ai contenuti che al metodo. La capacità di esercitare la razionalità nasce e cresce solo se è alimentata fin dall’inizio dall’esercizio della creatività, dell’indagine, dei procedimenti per tentativi, se si pongono domande chiedendo agli allievi di rispondere in modo personale. Impara, con i suoi tempi, un “io” che si mette in azione, fatto naturale che può venire bloccato dallo stile dell’insegnante, dominato purtroppo, come i genitori, dalla paura dell’errore. È diffusa la convinzione (errata) che la ripetizione acritica permetta di imparare evitando errori.
Il calcolo ha un posto importante in matematica, ma non per la rapidità con cui si svolgono le operazioni. Il cuore della matematica (che è un pensiero!) è la risoluzione di problemi. Chi non sa riconoscere il significato e quindi selezionare l’operazione da usare per risolvere un problema, procederà a caso e non sarà affatto aiutato dalla tecnologia. Mentre a chi riconosce il significato delle operazioni, basterà saper scrivere i numeri sulla tastiera, per risolvere in breve tempo un problema, appoggiandosi ad uno strumento di calcolo. A che pro dunque rendere artificiosamente complicati gli esercizi di calcolo? O mettere in crisi gli studenti con espressioni complicate?
E ancora, come si impara la matematica? In che modo la memoria viene sollecitata? La conoscenza del significato potenzia la memorizzazione, e senza l’apporto dei problemi non si arriva al significato delle operazioni. La padronanza del calcolo è legata anche alle immagini mentali, che nascono attraverso la pratica delle rappresentazioni.
In che modo la disabilità nel calcolo tocca e influenza anche la scuola superiore? Ecco un punto non ancora approfondito. Alcune ricerche hanno evidenziato che ai Dsa si accompagnano stili di apprendimento e altre caratteristiche cognitive specifiche, che è importante riconoscere per la predisposizione di una didattica personalizzata efficace. Ciò assegna alla capacità di osservazione degli insegnanti un ruolo fondamentale in tutto il percorso scolastico, per individuare quelle caratteristiche cognitive su cui puntare per il raggiungimento del successo formativo.
Un ultimo punto: come rendere stabile l’apprendimento? È inevitabile la fatica dello studio, che non va più di moda chiedere agli studenti. Ma come studiare è un’arte che si impara, solo se l’insegnante la insegna. Ecco allora le sintesi schematiche richieste a ciascun allievo e riviste dall’insegnante, oppure fatte insieme agli studenti più fragili o nate dalla collaborazione della classe, orientata dall’insegnante. Ecco l’abitudine a giustificare a parole le scelte fatte, la rappresentazione grafica di tutto quello che è possibile rappresentare, la ricerca di esempi di applicazione dei concetti matematici a vari campi dell’esperienza quotidiana e del sapere, l’attenzione al linguaggio specifico nel suo rapporto con il linguaggio comune.
Gli insegnanti di matematica hanno in mano buoni strumenti per una didattica efficace, purché riprendano in mano il cuore della disciplina. Così sono certa che possa accadere anche per tutti gli altri insegnamenti.