Jeans rosa e unghie colorate, pagina Facebook taroccata e dileggiante, “frocio” sul muro della scuola ed il suicidio di uno studente liceale. Scatta la ricerca dei o del colpevole, torna l’incubo del bullismo che uccide, non solo l’anima; è caccia ai bulli o ai responsabili; non siamo a posto con le nostre coscienze perbeniste, sino a che non avremo individuato i titolari della o delle colpe.
Il suicidio, inteso come modo di uscire dalla vita, nasce dalla convinzione di aver perso ogni possibilità di essere amati ed accettati e dalla fantasia di trovare la liberazione da una situazione insostenibile: luogo liberato da “mala vita”, come diceva Leopardi. Mancanza di sicurezza? Bisogno di essere accettati? Confusione di identità? Sofferenze estreme, depressioni gravi, disadattamento sono volti di una adolescenza inquieta. E sono ovunque le insidie in adolescenza, e numerosissimi i conflitti che ne derivano.
In un libro di Umberto Galimberti si legge “so che la prevenzione al suicidio degli adolescenti non rientra nei programmi ministeriali della nostra scuola, ma non sono pochi i giovani che si tolgono la vita o che tentano di farlo”. Così è accaduto ad Andrea. La morte chiede oblatività: consegnare tutto, senza trattenere niente per sé. E Andrea consegna tutto: la sua esperienza, il suo tempo, la sua capacità di amare.Tutti noi dovremo consegnare tutto alla morte, se così non fosse, l’umanità dovrebbe iniziare tutto da capo. Ed è chiaro che questa “consegna” avviene lungo tutta l’esistenza di una persona: noi siamo nella ns realtà il giudizio di noi stessi.
Penso allo smalto colorato per non rosicchiare più le unghie: anche l’onicofagia è un segnale d’ansia. E la scritta “frocio” sui muri della scuola? Come credere che sia bastata una pennellata di tempera a cancellare la scritta e la sua valenza? E la pubblicazione in rete di una foto di Andrea, uno scatto carnevalesco con costumi femminili: si è concluso tutto così in sordina? Quante zone oscure. E nella scuola privata che Andrea aveva frequentato in precedenza, non ci sono mai stati segnali di disagio? Andrea, come ogni adolescente, era nel bel mezzo di un processo basato su un’elevata capacità cognitiva ed emozionale di lasciarsi identificare come individuo, circoscritto in rapporto ad un universo prevedibile, che trascendeva le circostanze dell’infanzia: da adolescente stava costruendo la sua identità, attraverso sperimentazione e identificazione.
La sperimentazione consente di provare a recitare una molteplicità di parti, immedesimarsi in differenti ruoli; e con l’identificazione si riconosce come separato dagli altri, e, rappresentandosi con l’immagine che gli altri gli rimandano, tende a confrontarsi con le proprie abilità ed i propri limiti. Andrea ha vissuto questa dialettica, seminando sul suo percorso segnali: ma nessuno ha raccolto i sassolini di Pollicino.
Certo Andrea sarà stato impreparato a fare i conti col disordine e col caos: entrambi una minaccia, perché quando sono assolutizzati e assolutizzanti, negano lo spazio dell’incontro, il tempo del riconoscimento, e la transizione, all’interno del ciclo della vita, verso la crescita e lo sviluppo. Un ragazzo come tanti presenti nelle nostre scuole, che si è mosso tra provocazione e tentativo di manipolazione delle circostanze, tra un compito evolutivo (rito di passaggio o svincolo fisiologico) da una parte ed una psicodinamica tra rischio estremo, ebbrezza e trasgressione, dall’altra.
Sono sempre più convinta che la sfida adolescenziale sia sfida all’intelligenza e alla sensibilità degli adulti, perché induce a creare nuovi equilibri, nuove risorse, mette a dura prova, obbliga al confronto con carenze ed insoddisfazioni; mette in discussione i valori, ferisce i sentimenti e delude le attese. È essenziale, e urgente, riscoprire il valore della relazione, dello stare insieme in ascolto, a casa, a scuola, ovunque; è essenziale riscoprire il valore di un rapporto di reciprocità che si evolve nel tempo. È urgente centrare le proposte educative su una pedagogia delle relazioni, più che su una pedagogia dei modelli, per vivere in casa, nel gruppo, a scuola in termini di reciprocità, pari dignità, ascolto, gratuità, pur nella diversità e specificità di ciascuno.
Non è mai un intervento singolo che cambia una persona. È sempre una storia di relazioni che ne permette l’evoluzione. Stare al fianco di un adolescente nel suo percorso di vita, significa aiutarlo a trovare la risposta ai suoi bisogni, come base per una reciprocità di relazione: Andrea ha abitato un tempo di tante domande senza risposta, di fragili biografie, di rotte incerte verso cui veicolare la propria esistenza. Mi torna in mente il film L’attimo fuggente di Peter Weir, dove uno straordinario professore di letteratura, con una stupefacente capacità empatica, offriva ai suoi studenti un percorso di appartenenza attraverso la comunicazione di una passione. Nel film c’è un giovane a cui il padre nega tutti i progetti per una possibile appartenenza emotiva, dal giornalino scolastico al far parte della squadra di football, al gruppo degli amici poeti. Nessi causali diversi, ma unica fine. Sia per lo studente del film, che per Andrea.