Rispondo volentieri alla lettera aperta di Fabrizio Foschi, anche perché mi dà l’opportunità per qualche precisazione sul nostro modo di “stare in campo”, nello specifico di questa vertenza e in termini più generali, dovendo troppo spesso fare i conti, come Cisl, con letture distorte e fuorvianti del nostro operato. 



Sarebbe tale, e così entro direttamente in tema, anche quella di chi volesse considerarci incapaci di pensare una politica salariale diversa dalla mera difesa della progressione per anzianità. Non è così, caro Foschi: non è certo colpa del sindacato se le retribuzioni di chi lavora nella scuola italiana restano a tutt’oggi su livelli di assoluta inadeguatezza, un dato che risalta ancor più nel raffronto con quelle di altri Paesi, rendendo assolutamente prioritaria ed estremamente ardua la “semplice” tutela del loro valore reale. Gli scatti di anzianità, qualora non fossero pagati, produrrebbero un’ulteriore erosione di quel valore, già compromesso dal blocco dei rinnovi contrattuali. Chi lavora nella scuola subirebbe, come dicemmo a suo tempo, una doppia penalizzazione, vedendosi sottratto l’unico elemento certo di sviluppo – ad oggi – della sua retribuzione. 



Non è, questa, una scelta di modello, è una semplice constatazione della realtà. Nel nostro contratto, del resto, la porta verso l’esplorazione di altre e diverse modalità di riconoscimento e valorizzazione delle professionalità, a partire da quella dei docenti, è aperta da tempo, legata a condizioni finora purtroppo mai realizzate. Non è questione di ancoraggi a “piattaforme giuridiche” più solide dei contratti che sarebbero “effimeri”, perché ciclicamente rinnovabili, affermazione che oltretutto disegna un quadro esattamente opposto a quanto la realtà ci offre: il ciclo contrattuale è bloccato, nel frattempo è la legge a decurtare le risorse contrattualmente previste, oltre a tentare – come nel caso del ventilato aumento dell’orario – di manometterne altri e fondamentali tutele.



Non abbiamo bisogno di abdicare al nostro ruolo, per valorizzare il lavoro nella scuola, passando il compito ad un legislatore la cui superiore efficacia (e benevolenza) resta peraltro tutta da dimostrare: si faccia della scuola terreno di investimento, come sta accadendo in altri Paesi che puntano ad accrescere il proprio capitale umano, e non mancherà, almeno da parte della Cisl, la disponibilità a fare della contrattazione il terreno di incontro fra tutela e promozione del lavoro e sostegno all’efficacia e alla produttività del sistema.

Non è rincorrendo la suggestione di separate aree contrattuali che si può riscattare la docenza dalla mortificazione cui la condannerebbe, a suo dire, un nostro presunto arroccamento su una concezione impiegatizia del ruolo e della funzione. La questione vera e decisiva resta quella del livello di considerazione in cui il Paese, e la politica che lo governa, intendono tenere l’istruzione e la formazione: considerandoli leva fondamentale di promozione della crescita e dello sviluppo, o servizio da rendere al minor costo possibile, incuranti della qualità che oggi viene assicurata solo dalla dedizione con cui, nonostante tutto, ogni giorno centinaia di migliaia di docenti affrontano e svolgono il loro lavoro.

A questi lavoratori, il cui disagio è evidente e ampiamente motivato, noi non stiamo offrendo, con la mobilitazione e lo sciopero del 24 novembre, solo un’occasione di sfogo. Non ne avrebbero bisogno, esistono oltretutto, oggi, mille modi diversi, più economici e più efficaci per renderlo visibile e percepibile all’esterno. Al disagio della gente di scuola noi cerchiamo di dare, con la nostra azione, un senso e uno sbocco, a partire dalla individuazione di obiettivi precisi e chiari su cui li chiamiamo a mobilitarsi. Non ci appartiene la pratica dello sciopero rituale, inflazionato, a scopo prevalentemente autopromozionale cui troppe volte altri soggetti ricorrono; forse anche per questo le ragioni della protesta stanno trovando, oggi, più ascolto e attenzione del solito. 

 

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