Se c’è qualcosa che suona davvero parziale e lontano dalla realtà è l’enfasi con cui i mezzi di comunicazione (e la tv su tutti) parlano delle manifestazioni studentesche. Vediamo cortei, sentiamo slogan, ascoltiamo i portavoce degli studenti ripetere le “ragioni” dei cortei. E sembra che la partecipazione sia altissima e motivata, che tutta Italia sia investita da una contestazione condivisa e determinata. Ma chi vive nella scuola, chi sta a contatto con i ragazzi, chi è costretto a sottostare suo malgrado al rito delle occupazioni o delle autogestioni di novembre, sa bene come stanno davvero le cose.



Come nasce un’occupazione? Posso raccontarvi quello che ho visto. Nasce da un tam tam su Facebook. E, magia delle magie, in una scuola del tutto tranquilla e borghesemente apatica, il giorno dopo ecco l’assemblea studentesca, il “picchettaggio”, gli striscioni esposti. I bravi ragazzi del giorno prima sfornano musi preoccupati e pensosi da rivoluzionari sulla sponda del Rubicone. E quelli che il giorno prima non s’interessavano nemmeno ai problemi dei loro docenti, eccoli produrre giudizi stroncatori sul decreto Aprea, che passa di bocca in bocca, un po’ come il nome del famoso manzoniano Vicario di provvisione.



La regia è di pochi, pochissimi, rispetto alla popolazione studentesca. L’impatto sugli studenti, però, è devastante: che sia un’occupazione o un’autogestione, la prospettiva immediata e seducente è quella di una fuga da Alcatraz.

Non si discute del perché si protesta, quello è dato per scontato. C’è già tutto scritto nel volantino dei giovani comunisti, acriticamente assunto come punto sommo di riferimento. C’è in ballo “il nostro futuro” (grande equivoco, perché in realtà si protesta per mantenere lo status quo di una scuola vecchia come è vecchio il lessico sessantottino utilizzato nelle occupazioni), e con questa storia del futuro in ballo la coscienza è a posto. Insomma, il perché è presto spazzato via dal come: occupazione? Bianca? Nera? (Quest’anno, per la prima volta, ho scoperto che sono state introdotte delle gradazioni di colori). Autogestione? Si va a casa tutti a mangiare e a dormire oppure si dorme a scuola? E a scuola che si fa? Corso di danza? Ripetizioni di latino? Fantastica lezione sull’evoluzione del pachiderma, assicurata dal prof di biologia? E se si occupa, quanti se la sentono veramente di stare sulle barricate? Non è che poi molti si danno? Se non si viene a scuola bisogna poi portare la giustificazione? E via così. A nessuno sembra venire in mente che si potrebbe manifestare in un modo diverso, magari semplicemente esponendo uno striscione e continuando a studiare in classe.



La massa, la maggioranza, come reagisce? In modo variegato. Vota per l’occupazione, ma poi non la fa. Se ne sta a casa (è il partito maggioritario). Oppure (una minoranza coraggiosa) entra lo stesso e fa anche lezione con i docenti che sono in classe, manifestando in questo modo il proprio dissenso. Ovviamente questa “cosa” nata su Facebook e del tutto estemporanea divide gli studenti, invece di unirli. Perché i “rivoluzionari” si sentono degli eroi e sparano giudizi sugli altri (specie quelli che entrano) che sono colpevoli di non allinearsi.

Il dissenso non è previsto. Se, per esempio, tre studenti di una classe entrano, tutti gli altri si scatenano sulla pagina di Facebook e li insultano tranquillamente, con la storia che in questi casi “bisogna essere una classe” (mentre poi tutti i santi giorni ognuno si fa gli affari propri e coltiva il proprio gruppetto contrapposto agli altri).

Comunque in tv e sui giornali ci va una minoranza, una vera e propria minoranza, e nemmeno del tutto informata. Ma sembra una maggioranza che è al corrente di tutti i progetti di riforma che gravitano intorno al pianeta scuola. E allora ecco i commenti sulla “protesta degli studenti”, sul disagio dei giovani. Ecco i politici che prendono sul serio questo tipo di riti novembrini; queste fughe dalla scuola in nome della scuola; queste difese di un triste presente in nome del proprio futuro; queste manifestazioni che dopo qualche giorno si sciolgono come neve al sole, con gli studenti che tornano buoni buoni sui loro banchi, in un’apatica e borghese indifferenza, come se nulla fosse successo (ah, quelle righe di Manzoni sui moti popolari!).

Cosa resta? Quella notte a dormire insieme in palestra. “Ci vado anch’io”, mi diceva una ragazza. “Perché?”. “Professo’, se non le fai adesso, queste cose, quando le fai?”.