Il confronto delle primarie del centro-sinistra ha fatto emergere vincitore l’asse Bersani-Vendola. Si tratta di un asse politico, fondato su una visione del Paese e su spezzoni di programmi. Al netto di qualche indeterminatezza tattica sulle policies, lo scontro è stato limpido, visibile, salutare per chi doveva scegliere il candidato premier e, soprattutto, votare alle prossime elezioni regionali e politiche.



Qui interessano, al momento, le idee del vincitore, in particolare quelle relative alle politiche dell’istruzione. L’on. Bersani ha rilasciato una lunga e dettagliata dichiarazione sulla scuola. E questo è un fatto positivo. Non accade mai nelle campagne elettorali. Ma i contenuti della Dichiarazione lo sono, ahimé, molto meno. La Dichiarazione, letta sinotticamente con quella della senatrice Mariangela Bastico, già sottosegretaria del ministro Fioroni dal 2006 al 2008, che affonda definitivamente al Senato il ddl 953 (“Aprea”), configura un’organica piattaforma conservatrice, quale già espressa dalla Flc-Cgil, la mitica Federazione dei lavoratori della conoscenza. Dove “mitico” segnala la permanenza, all’inizio del XXI secolo, di un lessico in uso nelle organizzazioni proletarie della seconda metà del XIX secolo. Chiunque lavori è un proletario! Coerente, si intende! Perché gli insegnanti vivono ormai in una condizione di un modernissimo proletariato pubblico, che la Cgil ha contribuito a creare e che vuole confermare.



Dice, dunque, Bersani: “Negli ultimi anni la scuola e gli insegnanti sono stati umiliati e colpiti con continui tagli e con riforme che hanno creato disagi e disuguaglianze enormi… La scuola paga errori fatti negli ultimi anni, ma ora è il momento di dire con chiarezza che non c’è democrazia senza istruzione. Per questo motivo nella prossima legislatura bisognerà fare un ragionamento di tipo costituente per mettere in sicurezza un sistema barcollante e per restituire dignità e risorse alla scuola pubblica e ruolo, rilievo e dignità agli insegnanti”.

Da questa premessa, di cui l’affermazione più interessante è la promessa di un “ragionamento di tipo costituente”, seguono sette punti di programma.



1. Assegnare un organico funzionale stabile per almeno un triennio ad ogni scuola. 2. Un piano pluriennale per estendere la rete di asili nido e raggiungere l’obiettivo del 33% di copertura dei posti imposto dall’Europa. 3. Cancellare il Maestro unico della Gelmini per riportare in vetrina i gioielli di famiglia del sistema scolastico italiano: tempo pieno e modulo a 30 ore con le compresenze nella primaria. 4. Scuole aperte tutto il giorno, per permettere agli studenti di studiare a scuola da soli o in compagnia, per fare sport, musica e teatro. Perché le scuole diventino il cuore di quartieri e città. 5. Lotta alla dispersione scolastica, perché nessuno sia lasciato indietro. Dimezzare la dispersione come chiede l’Europa 2020 richiede interventi mirati, percorsi individualizzati, tempi distesi per l’apprendimento. 6. Un piano straordinario per l’edilizia scolastica. Oggi il 64% delle scuole non rispetta le norme di sicurezza. È una vera emergenza nazionale. Servono interventi urgenti: – allentare il patto di stabilità interno per quegli enti locali che investono nella ristrutturazione o nella edificazione di nuove scuole, incentivando la costruzione di scuole con ambienti di apprendimento innovativi ed eco sostenibili. – rifinanziare la nostra legge 23, che permetteva un’accorta pianificazione degli interventi di concerto con gli enti locali – offrire ai cittadini e alle cittadine la possibilità di destinare l’8 x mille dello Stato, in modo mirato all’edilizia scolastica. 7. Rilanciare l’istruzione e la formazione tecnica e professionale, perché siamo stati un grande paese industriale, quando abbiamo avuto i grandi periti industriali”.

Che dire, a nostra volta? Il nocciolo del programma sono gli organici da dilatare e i finanziamenti da aumentare. Tutti i Rapporti internazionali, ultimo il Pearson Learning Curve, fanno rilevare che non esiste correlazione significativa tra investimenti e risultati di apprendimento. Ma per Bersani, contro ogni evidenza empirica e scientifica, la salvezza della scuola è affidata ai soldi spesi principalmente per aumentare i posti di lavoro. 

Il punto di vista che viene adottato è quello della condizione salariale del personale della scuola. Di tutto ciò che pure ha occupato la sinistra ai tempi di Luigi Berlinguer non c’è più neppure l’ombra. Le questioni del curriculum, delle competenze-chiave, degli ordinamenti, degli assetti istituzionali, della formazione, assunzione e reclutamento degli insegnanti, della valutazione ecc… sono scomparse dall’orizzonte di una sinistra che si dice riformista e innovatrice e che, viceversa, è in piena regressione culturale e si mette alla coda della mobilitazione conservatrice di una consistente minoranza di insegnanti. Le piattaforme di lotta degli insegnanti che si riconoscono nella Flc e che sono confluite nello sciopero del 24 novembre 2012 convergono tutte quante nel respingere ogni riforma della governance, persino quella timidissima prevista dal ddl 953, nel ridurre la dimensione pubblica a quella statale, nel respingere ogni nuova organizzazione della didattica, nel voler conservare il solipsismo docente, nel liquidare ogni ipotesi di differenziazione di carriera e di stipendio eccetera eccetera. Bersani raccoglie e rilancia.

Peccando di buonismo, si potrebbe provare a sostenere la tesi audace che per ottenere il consenso, determinante ai fini della vittoria elettorale, dell’universo scolastico (8 milioni di studenti, quattro milioni di famiglie, un milione di insegnanti, migliaia di amministrativi sparsi tra il ministero centrale, le direzioni scolastiche regionali e i provveditorati, 200mila ata) Bersani-Vendola oggi presentino furbescamente una piattaforma che rispecchia gli interessi in campo così come sono, ma domani, con la vittoria in mano, faranno un salto mortale di innovazione. Sarebbe un innocente esercizio di doppiezza neo-togliattiana. Ma, quand’anche e per assurdo, l’esperienza insegna che i voti raccolti su piattaforme conservatrici per vincere le elezioni fanno poi sentire tutto il loro peso frenante, quando il governo tenti di fare qualche riforma. 

Paradigmatica resta l’esperienza dell’opposizione di centro-destra alle proposte di riforma di Luigi Berlinguer nel periodo 1996-2000. Essa raccolse consensi massicci contro il “concorsone” e, in particolare, contro la riforma degli ordinamenti del 7+5 (che facevano saltare la scuola media e abbassavano a 18 anni l’età di uscita): ambedue le riforme andavano a toccare ingenti interessi corporativi. Solo che, una volta arrivato al governo, il centro-destra seppellì la questione docenti, mantenne i 19 anni di uscita, non perfezionò l’autonomia, affidata solo all’iniziativa del ddl 953, lasciato poi in cantina. La Moratti incontrò subito l’ostilità ad ogni riforma di quella tigre cui il centro-destra aveva lisciato il pelo per ottenerne qualche voto. E lo scenario sarebbe lo stesso, a parti rovesciate. Ma, appunto, quella buonista è un’ipotesi del terzo tipo… 

Già, il centro-destra! Questa piattaforma di Bersani sarebbe una straordinaria occasione per una contro-piattaforma di innovazione, in grado di raccogliere le forze e le speranze autenticamente innovatrici e liberali, che anche nella scuola sono presenti, benché minoritarie, ogni giorno e che non annegano il cervello nel pensiero unico conservatore. Solo che, avendo investito per modesti calcoli propagandistici e per ingenuità nella disponibilità del Pd all’accordo, avendo smantellato alcuni caposaldi dell’originario ddl 953, in cambio di una minestra di lenticchie, rifiutata dai conservatori perché indigesta e dagli innovatori perché insipida, alla fine è rimasta solo la… finestra di un desolato silenzio suicida.

 

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