Perché un Comune chiede a una scuola paritaria l’elenco degli iscritti? Lo strano caso di Como preoccupa Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari. «C’è l’idea che l’utilizzo di una offerta formativa paritria, cioè non statale, sia un genere di lusso. E poi mi pare che non sia compito di un Comune quello di fare l’ispettore. Non è il suo ruolo».
Veniamo al primo punto.
È la prima cosa davanti alla quale occorre ribellarsi, perché molte famiglie che mandano i figli alle scuole paritarie sacrificano altri tipi di consumo: vacanze, automobili, altri beni voluttuari. Mettono davanti una scelta educativa. In secondo luogo, è una trovata che doppiamente sorprende se pensiamo che è indirizzata alle scuole materne.
Perché dice questo?
Ma perché è noto che il sistema non starebbe in piedi senza l’offerta paritaria.
Può un comune attribuirsi un compito di accertamento fiscale?
Non penso proprio. E questa è l’altra grave anomalia. Non si capisce a che titolo chieda questo tipo di informazioni. Vuole intervenire sulle discordanze reddituali dei singoli cittadini? Vuole qualificare l’ente che eroga il servizio? È un’ambiguità che non sta né in cielo né in terra. Mi pare che non sia compito del Comune quello dello svolgere una funzione di certificazione, sulla base dei redditi, degli utenti di un servizio; come non mi risulta che i dati disponibili presso le scuole possano essere usate dal Comune per operazioni di questo tipo. Il rischio grave è quello di generalizzare un atteggiamento inquisitorio. Il Comune è l’ente più amico dei cittadini e il suo compito primario è erogare servizi. Certo, ha anche un compito di equità e di giustizia, ma deve tener fede a questo suo profilo di ente partecipativo più accessibile alla cittadinanza costruendo politiche propositive, non ispettive.
Quando l’Agenzia delle entrate congegnò il redditometro, ci mise dentro anche le scuole paritarie.
E infatti noi ci lamentammo: le rette per le paritarie non potevano essere voci di spesa sulla base delle quali andare a indagare ricchezze nascoste, proprio perché molto spesso l’accesso alla scuola paritaria non è un lusso, ma un sacrificio vero compiuto nell’esercizio di un bisogno primario di cittadinanza come il diritto all’educazione. Il cittadino è colpito due volte: la prima perché il diritto alla libertà di scelta viene penalizzato facendone un costo vivo, la seconda perché tale costo vivo risulta un indicatore di ricchezza.
Le paritarie fanno risparmiare allo Stato 6 miliardi l’anno, eppure vengono avversate con uno zelo degno di miglior causa. Come si spiega la difficoltà di un’ampia parte della politica nostrana a ragionare in termini di pura convenienza?
La si spiega col fatto che c’è ancora troppa ideologia: è rimasta nel dibattito attuale una rappresentazione di bene pubblico che coincide con l’erogazione statale. Questo preconcetto in alcuni settori si è dissolto: basti pensare alla sanità, all’erogazione dei servizi alla persona, alla gestione dei servizi di pubblico interesse come l’energia e i trasporti, dove si è cercato di tenere insieme l’uguaglianza nell’accesso con una gestione non solo pubblica diretta, che spesso si accompagna a inefficienze. Ci si è accorti che si salvaguardia meglio un diritto pubblico mediante un modello pluralista.
In Europa come avviene?
Si cita sempre l’Europa, ma stranamente non lo si fa mai nel caso della scuola. In quasi tutti i Paesi europei il sistema di istruzione pubblica è misto, statale e paritario. Da noi la libertà di scelta è il valore democratico che l’ideologia statalista sembra voler cancellare, espropriando dell’educazione il primo titolare di questo diritto che è la famiglia. L’idea che solo la gestione statale dei servizi possa garantire la qualità della scuola è ormai fuori dal tempo. È questo il vero «spread» italiano, quello nella parità, che manca, della scelta educativa.
Lei è contro gli accertamenti fiscali?
Assolutamente no. È l’amministrazione comunale che non deve farsi stringere nel ruolo dell’esattore fiscale. L’insistenza sulla moralizzazione dei comportamenti fiscali è un tema assolutamente decisivo per il nostro Paese ed è una giusta battaglia, ma inviterei i Comuni a non utilizzare questi meccanismi, che sembrano tendenzialmente punitivi, mentre bisogna fare l’opposto e cioè liberare la capacità generativa del Paese.