L’incombente crisi di governo e la prossima scadenza elettorale ormai preannunciata per febbraio/marzo come colgono la scuola e gli insegnanti, dopo le fiammate di novembre causate dall’incauta manovra sull’allungamento non retribuito dell’orario di servizio e dalla battaglia sul recupero degli scatti di anzianità 2011 (rientrato l’uno, recuperati gli altri)?



Chi ha vissuto dal di dentro queste fasi cercando di trasformare, nei collegi docenti e in mezzo alla gente, la protesta in una proposta non dimentica quello che è accaduto. Nella scuola si è consolidato un soggetto costituito da insegnanti che non intendono rinunciare alla dignità e alla bellezza del lavoro che fanno e che, pertanto, pur non condividendo la sospensione delle attività didattiche per reazione alla politica, non per questo intendono accontentarsi del quieto vivere e assentarsi dal dibattito (al momento tutto da riprendere) sulla professionalità docente. Anzi. 



È a questo livello il punto massimo della richiesta. Questi stessi docenti sono spesso leader nelle loro situazioni, offrono il meglio di sé alla scuola, si aggiornano e si assumono delle responsabilità rispetto al contesto nel quale operano. Questa sorta di corpo intermedio che si è costituito, pur nella ristrettezza delle norme legislative, comprende anche scuole del sistema nazionale di istruzione che come istituti singoli o collegati in rete sono punte di eccellenza della tradizione italiana, riconosciute anche dall’Ocse, sul versante dell’istruzione liceale, ma anche tecnica e professionale. Comprende anche, sebbene su questa parte, dopo le polemiche estive, sia sceso un preoccupante velo di silenzio, tutti quei laureati o insegnanti non abilitati fortemente motivati che stanno espletando il Tfa (Tirocinio formativo attivo) o si stanno accingendo a sostenere, come abilitati, le prove concorsuali per 11.542 posti precedute dai discutibili test preselettivi di logica, comprensione del testo, informatica e lingua straniera. 



Una politica attenta a ciò che si muove nella società civile, sia che abbia come attore il governo sia il sindacato, avrebbe dovuto e dovrebbe abbracciare i due segmenti (percorso di formazione iniziale dei docenti e valorizzazione dei docenti professionisti), in un unico sguardo capace di riconoscere l’attitudine al rapporto educativo degli uni e il merito degli altri nelle modalità di insegnare e stare in classe. Invece si è proceduto a compartimenti stagni e se l’itinerario abilitante si è avviato, tenendo distinta giustamente l’abilitazione dal sistema di reclutamento, quest’ultimo però è rimasto ancora tutto da riscrivere, prove concorsuali imminenti a parte.

Ci sarà in primavera un altro concorso a cattedre per i neoabilitati come si era vociferato? Stante la situazione politica, probabilmente no. Quali saranno i criteri per assumere? Speriamo si ponga fine all’epoca dei quiz. Le scuole potranno avere qualche voce in capitolo chiamando insegnanti compatibili con le esigenze del Pof (Piano dell’offerta formativa)? Ci sarà una carriera dei docenti all’interno di un sistema di scuole più autonome?

E, a proposito di autonomia, si andrà davvero verso lo statuto autonomo delle scuole, come vuole il ddl ex Aprea (approvato dalla VII Commissione della Camera), al momento circoscritto agli organi interni di gestione e alle forme di partecipazione delle componenti scolastiche? Non vorremmo che in vista della corsa elettorale si chiudessero i pochi cantieri che si sono aperti, e si mettesse una pietra sopra taluni percorsi futuri che si sono appena intravisti e che, tra l’altro, sono obiettivi rivendicati in un modo o nell’altro da tutte le forze politiche e culturali che sono in campo. 

Accenniamo solo a due di questi cantieri aperti: il Tfa (ordinario e riservato) e, per quanto riguarda il personale della scuola già in servizio, il rinnovo contrattuale. 

Primo punto: il Tfa. A questo proposito si osserva un forte autonomismo autoreferenziale degli atenei che devono presiedere ai percorsi in collaborazione con Miur, scuole e uffici regionali. Dopo il test selettivo nazionale, per accedere alle prove di ateneo i candidati ammessi dovevano iscriversi versando un contributo per ciascuna classe di concorso prescelta, anche più di una. Purtroppo, in diverse occasioni la disposizione della norma è stata disattesa e i concorrenti, dopo aver superato i test nazionali, non hanno potuto partecipare a tutte le corrispondenti prove scritte a causa di sovrapposizioni di data. Ora che le selezioni sono terminate quasi dappertutto, gli atenei stanno redigendo le graduatorie. I candidati implicati in più liste dovranno esercitare l’opzione, secondo norma. Perché ciò sia possibile è necessario che tutte le selezioni sul territorio nazionale si siano concluse e le graduatorie siano state compilate. Ancora una volta, però, si assiste alla disattenzione delle disposizioni: alcuni atenei hanno già preteso l’iscrizione e stanno facendo partire i corsi senza costituire i Consigli di corso di tirocinio. 

Altro aspetto problematico riguarda i tutor coordinatori che non possono essere nominati in quanto il Miur non ha ancora emanato il decreto relativo al contingente di personale da assegnare a tale funzione. In questo modo, gli atenei procedono comunque, in un certo disordine generale, a emanare i bandi e a formare le graduatorie. Analogamente, senza accreditamento delle scuole per i tirocini (anche in questo caso il decreto non è stato prodotto), non è possibile individuare i dirigenti scolastici o i coordinatori didattici delle scuole che dovranno accogliere i tirocinanti da nominare nei Consiglio di corso di tirocinio. Insomma si va a singhiozzo e a macchia di leopardo sul territorio nazionale spesso senza rispettare le regole a danno dei corsisti. 

Per quanto concerne il Tfa speciale, l’iter del provvedimento è ormai giunto alla conclusione e, dopo i pareri positivi di Consiglio di Stato e Funzione Pubblica, dipenderebbe solo dalle Commissioni parlamentari dare il via libero definitivo, sulla base di accordi bipartisan. I tempi sono strettissimi. La crisi politica bloccherà tutto? 

Secondo nodo: il rinnovo contrattuale. Un cantiere aperto dal sindacato ma che deve vedere un’ampia partecipazione del corpo docente. Il rinnovo di questo atto che comprende le retribuzioni e i gradoni è bloccato per legge fino al 2014. I fondi da mettere a disposizione sono scarsi e le idee anche. Si è da tempo affacciata la prospettiva di una uscita dalla logica contrattuale, almeno per quanto riguarda la carriera docente. Qualche voce sindacale punterebbe a piazzare il merito come forma di progressione, insieme all’anzianità, nonostante la maggioranza difenda il calderone del comparto unico. Anche su questo fronte c’è tutto da rivedere e i tempi sono maturi, anzi ormai scaduti.

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