Scrivo quando ormai più di 2mila scuole statali in Italia hanno terminato le due giornate di lavoro per svolgere la prova preselettiva del concorso docenti.
Dodici ore al giorno, per due giornate, con l’impegno di oltre 12mila tra dirigenti scolastici, docenti e personale non docente (oltre al personale degli uffici periferici dell’amministrazione), per predisporre i laboratori informatici dove si è svolta la prova, per seguire le prove, preparare e concludere tutti gli adempimenti tecnici e burocratici.
Al di là di un certo trionfalismo del “tutto va bene” dei comunicati ministeriali, quanto è accaduto nelle scuole è cosa un po’ diversa.
1. Certo, si deve valutare positivamente l’importanza di un concorso per docenti dopo 13 anni di latitanza dello Stato, con tutte le conseguenze quantitative e procedurali che questo ha comportato. Ma detto questo, il positivo finisce qui. E non certo per propensione alla polemica.
2. È troppo difficile accettare ragionevolmente come utili ed adeguati sia il sistema adottato di selezione che le procedure richieste alle scuole. Sul primo non è il caso di tornarci troppo, visto che autorevoli voci hanno ricordato un principio elementare: questi test di logica non selezioneranno i docenti più adeguati ad insegnare, non rileveranno le competenze necessarie ad una professione fondamentalmente culturale e relazionale. Da oggi chi è fuori è fuori. Quanti ottimi insegnanti in servizio non hanno ottenuto i 35 punti richiesti!
3. Su questa grave lacuna l’unica via d’uscita dovrà essere quella della maggior parte delle nazioni europee: tirocinio, prova in servizio e conoscenza diretta del futuro docente. Chi può seriamente dire (senza cadere nella barzelletta) che le doti necessarie per insegnare derivano dal sapere a memoria le risposte a dei quiz?
Come già accaduto con il concorso a dirigente scolastico, contenuto e forma della selezione documentano, alla fin fine, una svalutazione (e quindi un dispregio) per quello che un giovane deve sapere e saper fare per essere un buon insegnante, professione ormai tra le più svalutate in Italia.
Ho dato, da funzionario pubblico, la disponibilità mia e di tutto il personale dell’istituto allo svolgimento delle prove perché lo ritenevo un dovere. Tutti hanno dato il massimo. Ma mi rifiuto, con un’esperienza di 22 anni di direzione alle spalle, di consentire a questa china completamente sbagliata per il futuro della professione docente e delle nostre scuole.
4. Mentre nei comunicati e nelle Note da settimane si parla di aule, postazioni, chiavette e quant’altro, solo ieri sera il comunicato del ministro si è ricordato dell’enorme lavoro svolto dalle persone. Quasi tutte utilizzate per fare vigilanza. Quando mai si è sentito che gli avvocati vengono usati come vigilantes alle prove nazionali per l’accesso alla professione forense? Il Ministero si era dimenticato che “la mole e i numeri di questa complessa procedura di reclutamento” sono stati affrontati solo attraverso la “mole” di volontariato attuato da chi ha dato la propria disponibilità.
I Comitati di vigilanza (mediamente 5 persone per aula e non 2 come recita il comunicato) hanno lavorato 12 ore al giorno. A loro vanno aggiunti i docenti convocati per la vigilanza nelle prove. Tutto in forma di volontariato. Da cittadino preferirei scegliermi liberamente il campo al quale dedicare il mio volontariato.
5. Il comunicato del Miur del 14 dicembre parla di 200 euro al giorno per aula per il compenso al lavoro svolto. Peccato che in nessuna delle Note e disposizioni emanate dal Miur o dagli Usr ci sia qualche riferimento tecnico e finanziario a questa assegnazione.
Comunque 400 euro per 24 ore di lavoro a 5 persone non fanno 25 euro all’ora (come sostiene lo stesso comunicato) ma bensì 16,6 euro all’ora, che però sono da dividere appunto tra 5 persone! Per evitare che i costi dell’erogazione di 3,3 euro cadauno siano superiori all’erogazione stessa, forse ci troveremo a distribuire le monetine al bar. O forse (come ci dicevamo all’uscita) daremo in beneficienza. Qualcuno ha una migliore alternativa? In realtà non c’è nulla di nuovo: la scuola statale deve ormai da tempo il proprio miglior funzionamento al volontariato di molti dirigenti, docenti e non docenti. Strano che nessun sindacato abbia ricordato che il lavoro oltre le 8 ore consecutive non è proprio una cosa… pulita. Se poi è pressoché gratuito!
6. Qualche altro particolare ci ha lasciato perplessi. Le chiavette Usb ricevute dall’Amministrazione per le operazioni di salvataggio dei file era di tipo extralusso. Più di 5.400 distribuite. Non sarà mica come per le “pillole di sapere”?
Quanto poi al fatto che la prova digitale abbia eliminato la quantità di carta, siamo al ridicolo. Ricoverando questa sera il materiale utilizzato e fatti i conti, su di un totale di 142 presenze, si sono utilizzate (facendo attenzione a non consumare troppo!) sei risme di carta A4 (fogli di brutta obbligatori, presenze, verbali − 16 verbali ! −, comunicazioni ministeriali e regionali e quant’altro). Una media di 17 fogli a persona. Mi ricordo che al concorso dirigenti avevo utilizzato due fogli protocollo, scrivendo un po’ troppo!
7. Per le prove, quasi tutte le scuole coinvolte hanno dovuto sospendere le lezioni per due giorni, provocando quindi un ulteriore danno alla continuità di un lavoro didattico, specie vicino alle vacanze natalizie. Era proprio necessario? Non si poteva utilizzare i giorni di sospensione? Anche l’esito della selezione (solo numerica!) alla fine non è stato raggiunto: per oltre 130mila candidati si dovranno istituire ben più di 250 commissioni.
8. In nessun altra nazione europea accadono queste cose ed ogni volta che si torna da un consesso europeo sulla scuola si rischia la depressione: cresce il deficit normativo, organizzativo e finanziario, vero elemento di calo della qualità per la realtà scolastica italiana, nonostante la grande ricchezza di dedizione umana e professionale che, contro quel deficit, sostiene la nostra scuola.
Ora arriva il momento italico dei ricorsi e del loro tormentone. Anzi: è già cominciato. Tutto merito del centralismo che, come giustamente ha ricordato il Giorgio Chiosso, alla fine è il vero male radicale di tutta la vicenda.
Occorre con franchezza riconoscerlo: terminiamo un periodo di Governo tecnico che ha ottenuto qualche risultato, ma il capitolo istruzione, specie sui concorsi, non ha saputo tenere il livello che ci si sarebbe aspettati.