La crisi sta cambiando le scelte dei ragazzi delle terze medie e delle loro famiglie? È la domanda che sta, come fiume carsico, accompagnando l’orientamento scolastico, in vista della scelta della scuola superiore.

Gli ultimi dati AlmaLaurea, il consorzio che fa capo all’Università di Bologna, ci dicono che ci si iscrive di meno all’università. Il che significa che sta riemergendo la richiesta, dopo la maturità, di un impiego il più possibile stabile, anche se in troppi casi lontano dal proprio percorso di studi.



Non solo. Ad una precisa domanda, il 42% dei neo-diplomati si dichiara pentito del percorso di scuola superiore scelto; mentre un 16% si dice ancora indeciso. Le ripercussioni, nelle scelte universitarie, sono evidenti: il 18% delle matricole si perde per strada al primo anno di corso. Un grande spreco di speranze giovanili, di opportunità, di gusto della vita.



L’orientamento, quindi, andrebbe completamento rivisto, sia per la scelta delle scuole superiori come per la scelta universitaria.

Per la scelta delle superiori, lo sappiamo, è un passaggio non facile, perché a 13/14 anni i nostri ragazzi sono chiamati a prendere una decisione che sarà determinante per tutta la vita. Non è troppo presto per fare questa scelta di vita? Perché poi costringere gli studenti ad iscriversi a febbraio, quando le scuole iniziano a settembre: ci vogliono davvero otto mesi per predisporre gli organici per le scuole superiori? Che senso ha una mega-organizzazione ministeriale che impiega otto mesi per queste cose? Non potremmo lasciare, almeno, qualche mese in più di riflessioni ai ragazzi e alle famiglie, oltre il rischio-marketing delle scuole superiori? 



Le occasioni per informarsi, per maturarla questa scelta, visto l’importanza nella vita dei ragazzi, vanno prese sul serio. Anzitutto non fermandosi alle “vetrine” delle scuole superiori, ma andando oltre, chiedendo un aiuto ai docenti delle medie, anche ai ragazzi più grandi che già frequentano le diverse scuole. Visitando poi le scuole, negli open day e, meglio ancora, utilizzando gli spazi dei Laboratori orientanti.

Il tempo della scelta terminerà a febbraio 2013, un tempo, perciò, che va usato bene. E sono le passioni, le attitudini che devono emergere, supportati dalle valutazioni delle scuole medie, ed alimentati, soprattutto, da una domanda: qual è il sogno di futuro che ogni ragazzo si porta dentro?

Centrale è infatti l’energia, la motivazione, la grinta, quella che fa superare tutti gli ostacoli. Sapendo bene, comunque, che un occhio di riguardo va agli sbocchi professionali, a medio, cioè dopo le superiori, o a lungo termine, cioè dopo una laurea, un dottorato, un corso di specializzazione.

Un consiglio che spesso mi trovo ad offrire ai genitori e ai ragazzi è quello di non fermarsi ai titoli più o meno roboanti degli indirizzi di studio. Anzi, direttamente ai ragazzi, mi sono ritrovato più volte a stuzzicarli con un noto proverbio Tuareg: “Fermati un attimo, arrivi prima”. Un invito cioè a pensarci bene, al di là di questo o quell’indirizzo, di questa o quella scuola.

Eppure, gli stessi studenti e le loro famiglie sono bombardati da mille informazioni, forse troppe. Non sempre suffragate dalle prospettive concrete, in termini di “occupabilità di un titolo di studio”. Come ci dice il dato raccolto da AlmaLaurea, quel 42% fa venire i brividi. Può essere liquidato solo come errore di gioventù? Quanti destini personali bruciati negli anni, e quante reali opportunità di lavoro e di vita sacrificate per miopia o poca trasparenza? Perché di fronte a certe scelte, giuste o sbagliate, non si torna indietro, fatte salve rare eccezioni. E a ben poco servono le “passerelle”, cioè i passaggi da un indirizzo ad un altro.

Quanti, ad esempio, nello stesso mondo della scuola, stanno comprendendo la rivoluzione in atto a livello globale, con l’apertura a 360° del mercato del lavoro, tanto che i nostri giovani si troveranno in concorrenza, anche in casa nostra, con ragazzi competenti provenienti dai più diversi Paesi? Ha ancora senso una maturità a 19 anni, se in Europa la si raggiunge a 18 anni? Perché non cancellare, con un decreto condiviso, il valore legale del titolo di studio ed introdurre invece la logica della certificazione? Perché non introdurre limiti alle iscrizioni per quelle facoltà che producono solo disoccupati e code infinite nei concorsi pubblici?

Per rispondere a queste domande dovremmo cambiare radicalmente la scuola. Una utopia, viste le condizioni.

Cambiare la scuola è la prima emergenza del nostro Paese, se vogliamo dare un futuro concreto ai nostri figli. I quali devono sapere da subito che servono oggi competenze certe, spendibili, verificabili, dinamiche. E dico questo conoscendo bene il grande valore della gran parte dei nostri docenti e presidi.

Il cuore della scuola è l’orientamento in itinere verso scelte plausibili e cariche di futuro. Un vero servizio pubblico, con al centro lo studente. Ci vuole dunque un orientamento che superi definitivamente il vecchio pregiudizio, figlio di Leibniz, secondo il quale la cultura deve liberare dal lavoro, denigrando così il lavoro manuale, i laboratori, le officine, le botteghe artigiane, quelle che hanno reso l’Italia il secondo Paese manufatturiero dell’Ue dopo la Germania.

L’orientamento, quindi, va costruito sulla base delle attitudini e dei talenti. Perché gli errori fatti a 13-14 anni difficilmente potranno essere corretti.

Come scegliere, e cosa scegliere, dunque? Un consiglio che mi sento di dare è questo: fare in modo che tutti gli studenti tocchino con mano, nei momenti di “scuola aperta” e nei “laboratori orientanti”, la realtà di tutte le scuole. Di tutte le scuole, non di alcune. Toccare con mano, dunque. Ed una volta toccate con mano, rivedere e discutere, assieme ai genitori e ai docenti, le proprie impressioni. L’importante è non seguire la moda, il vento delle opinioni altrui, idee più o meno ballerine.

In seconda battuta vorrei sottolineare che la formazione, in qualsiasi indirizzo di studio, implica comunque lo sviluppo delle attitudini, delle cosiddette “competenze trasversali”, e la prima di queste, cioè “imparare ad imparare” secondo passione, è la migliore spinta alla continua innovazione. La migliore garanzia, la “formazione continua”, contro il rischio della precarietà.