Un tempo erano i programmi di partito, quasi sempre troppo voluminosi, ad accompagnare le campagne elettorali. Che nessuno leggeva, ma sempre utili, comunque, per capire almeno le intenzioni dei partiti. Oggi ci si avvale delle agende, cioè di memorandum, con pochi punti programmatici, alcuni chiari, altri general-generici. Comunque utili, anche questi, per orientarsi tra il politichese.



Proviamo, quasi per un gioco di società, a dare un’occhiata, sul tema della scuola, all’agenda preparata da Mario Monti per la sua “ascesa” in campo, e vediamo se è, in qualche modo, compatibile con il memorandum in dieci punti pubblicato da Stefano Fassina, il vero ispiratore della politica economica – come ha confermato Pietro Ichino – del Pd. Un confronto utile per capire se il prossimo governo Bersani-Monti (o Monti-Bersani), dai sondaggi odierni il più accreditato a governare, produrrà finalmente quelle riforme da decenni attese sul mondo della scuola.



Partiamo da Fassina. Al secondo punto del suo testo, Fassina sostiene la necessità di “riorganizzare le pubbliche amministrazioni e smetterla con le ‘finte’ spending review e i tagli orizzontali fatti in maniera grossolana”. “La nostra idea – dice il responsabile Economia Pd – è che per generare risparmi bisogna azzerare tutte, e dico tutte, le risorse alle pubbliche amministrazioni e rivedere le erogazioni di denaro caso per caso: potenziando da qualche parte, tagliando da qualche altra parte, sapendo naturalmente che alcune persone devono rimanere a casa, purtroppo, ma seguendo comunque un principio di riallocazione deciso secondo priorità politiche e non da poteri terzi, diciamo”. Parole forti, parole chiare.



Ci chiediamo: di quale pubblica amministrazione qui si parla? Di tutta, compresa scuola, università, enti di ricerca, enti locali? In più, non si dice il come di questa riqualificazione.

Difficile ritrovare una risposta, dal suo testo. All’ultimo punto del suo memorandum, dedicato al Welfare e al “rilancio e alla riqualificazione della scuola pubblica”, non si dice altro. Segno di un tabù che non va scalfito? Oppure, terreno minato che è buona cosa lasciare ad altri? Che si tratti di un terreno minato, è cosa risaputa: pensiamo qui al gran lavoro bipartisan della responsabile scuola del Pd on. Francesca Puglisi sulla riforma degli organi collegiali, col testo di recente licenziato dalla commissione cultura della Camera, e lo stop, a stretto giro, della sen. Mariangela Bastico (sottosegretaria alla scuola con Fioroni ministro), con un rimando alle calende greche. A chi dobbiamo dar retta, per la politica scolastica del Pd? Forse, il silenzio di Fassina sulla scuola non è altro che un modo per dire che si tratta di un tema che è di stretto controllo della Cgil, da sempre la più tenace avversaria di un ripensamento del mondo della scuola in ordine ai temi della governance, di un nuovo stato giuridico, di un sistema di valutazione, di una vera autonomia scolastica.

Per quanto riguarda l’Agenda Monti, alle pp. 9-10 troviamo il paragrafo dedicato alla scuola, all’università e alla ricerca, con un invito a “prenderle sul serio”, perché “chiavi per far ripartire il Paese e renderlo più capace di affrontare le sfide globali”. Le parole chiave sono capitale umano, competizione globale e competenze adeguate. I limiti italiani sono l’alto tasso di abbandono, il basso livello di performance e di laureati rispetto ai Paesi dell’Ocse.

“C’è bisogno di invertire la rotta”, avverte Monti. Prendere sul serio la formazione comporta il rompere gli schemi ideologici che hanno portato alla mortificazione della professione docente, la quale va riqualificata e riconosciuta, secondo autonomia e responsabilità. Di qui il richiamo alla formazione e al sistema di valutazione, punti qualificanti tutto il mondo della formazione, vero tallone d’Achille tutto italiano. Monti qui parla di meccanismi di incentivazione per i dirigenti scolastici ed i docenti. Un modo, l’incentivazione, per dire e confermare il modello Stato-centrico, come ha rilevato con puntualità su queste pagine Fabrizio Foschi, critica confermata sul Corriere da Alesina e Giavazzi per l’intero impianto dell’Agenda Monti.

Solo coi risparmi, infine, derivati dal controllo della spesa, potremo, secondo Monti, per i prossimi cinque anni costruire un piano di investimenti per tutto il mondo dell’istruzione.

Belle parole, sogni ad occhi aperti? Al di là delle parole d’ordine, tante volte incontrate durante le campagne elettorali, rimane un limite da rilevare sull’Agenda Monti: il fatto di avere richiamato i concetti di “autonomia e responsabilità” senza alcuna declinazione sul “come”. Siamo, cioè, ancora all’interno, è giusto ripeterlo, dell’ottica della gestione centralizzata della politica scolastica.

Basterebbe un’ulteriore parola chiave, perché l’autonomia e la responsabilità non rimangano parole vuote: sussidiarietà. Con una governance capace di rappresentare, attraverso delle fondazioni, già prefigurate dal ministro Fioroni nel secondo governo Prodi (2006-2008), le rappresentanze e i legittimi interessi delle comunità locali. Ai fini di una effettiva “cultura dei risultati” del “servizio pubblico” scolastico. Come già avviene in altri Paesi europei. Ricordo che è grazie ad un Dpcm proposto da Fioroni che attualmente sono nati e vivono di vita propria gli Its, cioè gli istituti tecnico-superiori. Per completezza, in questo caso, “fondazioni di partecipazione”, con una gestione autonoma che è in grado di produrre, se condotta con intelligenza, ottimi risultati. Verificare, per credere.

Senza questo cambio di marcia, anche l’Agenda Monti sulla scuola si conferma, lo si voglia o no, incapace di ripensare in termini qualitativi l’offerta formativa, in grado di rispondere alle nuove domande ed esigenze delle giovani generazioni e della nostra società glocale. 

Dal “perché” al “che” al “come” il passo è obbligato: una proposta innovativa sul “come” diventerebbe, nel concreto, terreno di confronto trasparente e realmente democratico, perché vicino alle comunità locali, diretta espressione della loro responsabilità sociale ed istituzionale, secondo, ovviamente, standard, linee guida e verifiche puntuali da parte degli organi competenti. Un governo, quindi, snello della formazione. Più rispondente alle necessità e alla corresponsabilità degli utenti del “servizio pubblico”. 

Avrà Monti la forza per rompere questo tabú, per costringere tutti ad un confronto sulla “cultura dei risultati”?