Il report The Learning Curve: lessons in country performance in Education, prodotto dalla Intelligence Unit dell’Economist, contiene alcune riflessioni di policy decisive per la definizione delle azioni da intraprendere nei prossimi anni in campo educativo. Tali indicazioni non possono che essere prioritarie per il nostro Paese, il quale sta vivendo (ormai da troppi anni) una vera emergenza educativa, che trova riscontro in livelli di competenza e di apprendimento dei nostri studenti significativamente insufficienti rispetto a quelli di altri Paesi. 



I media italiani si sono concentrati nel mettere in evidenza le caratteristiche dei Paesi i cui sistemi scolastici sono ritenuti migliori, Finlandia e Corea del Sud, sottolineando che le comunanze risiedono nella qualità dei docenti e nel prestigio sociale associato alla professione docente. Questa interpretazione è senz’altro corretta, e marca una radicale differenza con la realtà italiana in cui i docenti sono mal retribuiti, demotivati e non valutati. Tuttavia, si tratta di una sola parte dell’intera storia; e se il sistema scolastico italiano si posiziona solamente 24simo nel ranking basato sui risultati (apprendimenti e titoli di studio), è necessario interrogarsi ad ampio raggio sulle cause di tale situazione.  



Il merito del Rapporto è quello di mettere in luce diversi elementi di policy che sono associati (non necessariamente in un rapporto causa-effetto) ai risultati. Non solo: il punto di vista dichiarato è che la ricerca empirica e teorica non sia ancora pervenuta a convinzioni granitiche rispetto ai fattori che incidono positivamente sui risultati scolastici. L’educazione, d’altra parte, è un processo basato sulla libertà e sulle abilità delle persone coinvolte (studenti e docenti), pertanto è solo parzialmente “modellizzabile”. Nondimeno, l’esperienza di molti Paesi oramai consente di considerare alcuni elementi di architettura del sistema scolastico come “abilitanti” per l’ottenimento di risultati migliori. Il rapporto ne cita, in particolare, tre. 



1. Il primo riguarda la relazione tra input (risorse), processi e risultati. Decenni di ricerca economica nel settore dimostrano che il legame tra risorse investite nell’istruzione e risultati è, quantomeno, debole (se non assente). Le politiche basate sull’aumento degli investimenti tout court in istruzione si sono dimostrate fallimentari: sono esempi di queste la riduzione della dimensione media delle classi, o l’aumento delle retribuzioni dei docenti (fanno eccezioni quelle policy di retribuzione aggiuntiva dei docenti sulla base dei risultati dei loro studenti). 

2. Il secondo elemento è quello della cultura di un Paese rispetto al tema dell’istruzione. Il rapporto precisa che una cultura positiva in questo senso non è necessariamente solo quella presente tradizionalmente in alcuni Paesi (come Finlandia e Corea del Sud), ma può essere promossa con iniziative specifiche: viene citato, a titolo di esempio, il caso del reclutamento straordinario dei docenti attuato dal governo di Singapore, accompagnato dalla definizione di salari pari a quello di altre professionisti prestigiosi (ingegneri, medici, ecc.). 

3. Il terzo fattore è legato alla promozione dell’autonomia delle scuole, e di una maggiore competizione tra queste in un regime di libertà di scelta. I casi illustrati dimostrano che, laddove la maggiore libertà di scelta si accompagna ad un adeguato sistema di informazioni per il pubblico e le famiglie (su caratteristiche e performance delle scuole), gli esiti sono di un miglioramento dei risultati, una maggiore soddisfazione delle famiglie, ed una riduzione dei costi.  

Quali indicazioni si possono trarre dalla lettura di questo Rapporto? È anzitutto sconcertante osservare come il dibattito sul sistema scolastico italiano sia molto lontano dai temi evidenziati. Governo e sindacati discutono solo di risorse (stanziamenti, monteore di lezione, dimensione dei plessi e delle classi, organici, ecc.). I dibattiti politici, in tutti gli schieramenti, trascurano il tema dell’istruzione e della scuola, e i media ne parlano solamente in presenza di scandali e casi limite. Il tema della libertà di scelta e della parità scolastica, dopo una breve parentesi nei primi anni duemila, è tornato ad essere un tabú, e un terreno di mero scontro ideologico. L’autonomia delle scuole è molto (troppo) limitata, e si può esercitare solo su alcuni aspetti gestionali e di programmazione ancora marginali, mentre il ministero dell’Istruzione regolamenta ancora la maggior parte della vita degli istituti. La più importante risorsa per la qualità delle scuole (i docenti) continuano ad essere scelti centralmente attraverso concorsi, e si è definitivamente rinunciato a qualunque forma di valutazione delle loro attività. 

Alla luce dei contenuti del rapporto, non stupisce affatto che il sistema scolastico italiano sia ben lontano non da livelli di eccellenza, ma di sufficienza.

In questo quadro, vi sono segnali confortanti? A mio parere, sì. Primo: l’importante lavoro svolto dall’Invalsi per misurare i risultati di apprendimento in modo standardizzato: anno dopo anno, cresce nel mondo della scuola la consapevolezza della sfida legata all’entità dei gap di apprendimento tra aree geografiche, tra studenti italiani e stranieri, tra singole scuole, tra classi della stessa scuola. Secondo: la bozza di regolamento sul Sistema nazionale di valutazione (Snv), predisposta dal Miur, che si spera possa essere emanato prima della fine della legislatura: questo documento finalmente darà un quadro di riferimento per la valutazione interna ed esterna delle istituzioni scolastiche. Ed, infine, la passione e la competenza di quei docenti che, nonostante le mille difficoltà, non si arrendono e continuano a fare ogni giorno il mestiere più bello del mondo. 

Questi elementi positivi dovranno essere però sostenuti, nei prossimi mesi e anni, da una rinnovata attenzione al tema dell’educazione da parte della politica, della cultura e della società, a meno di non voler rinunciare, ancora una volta, a investire sulla leva strategica più importante per il rilancio economico e sociale del nostro Paese.