A maggio si voterà per il rinnovo del Cnsu, il massimo organo di rappresentanza studentesca universitaria, che ha funzioni consultive nei confronti del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, i cui componenti vengono eletti in media da più di 200mila studenti. È attualmente in discussione al ministero lo schema di ordinanza di indizione delle elezioni, che potrebbe contenere preoccupanti novità.



Il ministro, infatti, ha espressamente dichiarato la ferrea volontà di indire elezioni «telematiche»: non più schede elettorali su cui scrivere a matita la propria preferenza, ma un apposito computer funzionale esclusivamente alle operazioni di voto. Si può essere d’accordo o meno con il principio di modernizzare i meccanismi di voto, ma non si può prescindere da un’analisi attenta delle problematiche legate a una tale decisione.



Infatti, un’elezione studentesca su base nazionale ha delle esigenze specifiche, anzitutto quella di dare la possibilità di votare nella propria sede didattica a tutti gli aventi diritto. Per fare qualche esempio, l’Università degli Studi di Milano mette a disposizione degli studenti un totale di 21 seggi. Alla Federico II di Napoli i seggi sono circa 50, all’Alma Mater di Bologna i seggi sono 35, senza considerare le università di dimensioni ridotte ma con sedi distaccate molto distanti fra loro, dove si rende necessario almeno un seggio per sede.

Ogni seggio, poi, è composto da un minimo di tre cabine elettorali, per agevolare le operazioni di voto: il totale di computer necessari, quindi, all’Università di Milano sarebbe di 63, alla Federico II 150 e all’Alma Mater di Bologna 105. Pare che la dotazione media di questi computer messi a disposizione dal ministero sia particolarmente esigua, poche unità: la sproporzione è evidente. Per ovviare a tale inadeguatezza, gli atenei dovrebbero comprare ulteriori terminali, scelta certo non facile, alla luce della fragilità dei bilanci universitari, e non utile, poiché questi particolari computer non sono riutilizzabili come normali pc.



Come garantire la possibilità di votare, pur non disponendo di un numero di computer adeguato? Semplice: meno seggi e votazioni distribuite nell’arco di quattro giorni, invece di una giornata e mezzo come accadeva in passato. Si prospetta, inoltre, una votazione scaglionata in ordine alfabetico per evitare ingorghi ai seggi. Per essere espliciti, gli studenti il cui cognome inizia con una lettera tra la A e la D potranno votare il primo giorno, gli studenti E-M il secondo e così via.

A chi e a che cosa giova un sistema così incredibilmente complesso? Sicuramente non agli studenti, che vedrebbero protrarsi le elezioni per un periodo di tempo inspiegabile, avendo tuttavia stringenti vincoli temporali per poter votare, contestualmente a una sensibile riduzione del numero di seggi. Come se non bastasse, le singole università devono fronteggiare una palese carenza di risorse tecniche, costi elevati per l’acquisto dei terminali, il tutto senza che ci sia un risparmio sul personale amministrativo, comunque necessario per il funzionamento dei seggi. Infine, tutti gli sforzi messi in campo non eliminerebbero i costi di stampa delle schede elettorali personalizzate, comunque essenziali per la distribuzione sicura dei codici di autenticazione degli elettori. A ciò si aggiunga il risparmio che gli atenei godono attraverso la prassi di sovrapporre in una sola tornata le elezioni nazionali del Cnsu con quelle locali, che l’utilizzo del metodo telematico non consentirebbe.

Insomma, le università passerebbero da un attuale costo zero (salvo le spese di stampa delle schede) delle elezioni universitarie a un costo non ancora ben quantificato ma sicuramente superiore. In questo periodo di crisi e di spending review delle finanze pubbliche che chiede sacrifici a tutti, nessuno escluso, mi domando come mai il Ministero proponga un sistema più costoso, più complicato, con minori possibilità di partecipazione per gli studenti (sempre a rischio) e che non trova il favore né nell’opinione studentesca, né delle amministrazioni universitarie.

Non essendo neppure una soluzione meno costosa, quale ragione muove il ministro Profumo a proporre un sistema del genere? Dare una verniciata di modernità al ministero? Dare un contributo al mercato informatico in Italia? Ma a che gioco stiamo giocando? Il Miur 2.0 può essere una bella dichiarazione per la stampa, ma una tragedia se applicato in maniera ideologica e con il paraocchi.

Noi studenti non siamo di principio contrari al voto telematico, ci mancherebbe, ma occorre realismo, cioè saper guardare innanzitutto ai problemi che una decisione del genere comporterebbe. Forse una politica veramente moderna sarebbe quella di tornare a investire seriamente, e non solo per un vezzo d’immagine, in università. Ma su questo – dicono molti frequentatori dei palazzi ministeriali quando poniamo il problema – verremo sentiti un’altra volta.