La proposta del ministro Profumo di innalzare le ore di servizio degli insegnanti delle medie e delle superiori a 24 ore settimanali, dopo le veementi proteste del mondo della scuola, è stata archiviata a vantaggio purtroppo di altre misure di contenimento della spesa nell’istruzione, che non potranno non incidere sulla qualità del servizio; ammesso che ridurre i costi sia sempre un fatto negativo.



Si trattava, a parere del sottoscritto, di una proposta “provocatoria” e di scarsa attuabilità, in quanto andava a modificare il contratto in maniera unilaterale e in Italia sappiamo come i Tar e le altre istanze giudiziarie o politiche non consentano operazioni del genere, per cui ha fatto bene il Parlamento a rivedere il tutto. Ma mi chiedo: è stata davvero una provocazione inutile? Credo di no e spiego il perché: il merito della “provocazione” ministeriale è che si torna a parlare della “funzione docente” e della possibilità di definire contrattualmente l’impegno dei docenti nella scuola; connessa è la vexata questio riguardante la figura del docente-professionista (per definizione “atipica”) e quella di “dipendente statale” con obblighi e diritti sanciti nella legislazione del pubblico impiego. Mi chiedo en passant se la “contrattualizzazione statale” sia un istituto adeguato per una professione che sfugge a una rigida definizione dei “carichi di lavoro”, così come concepita nel pubblico impiego. 



Sempre provocatoriamente, ma non tanto, direi che si possa pensare a una vera contrattazione di istituto e, perché no?, anche a una individuale, una volta stabilito il “compenso minimo” per la prestazione docente. Tralascio la questione della “qualità” e del merito, che richiederebbero altre considerazioni

L’opposizione dei docenti, che hanno cercato e ottenuto l’appoggio, non universale, di genitori e studenti, ha insistito sulla “insostenibilità” didattica delle 24 ore di docenza, il che francamente mi pare poco sostenibile (mi si perdoni il gioco di parole): a parte che già oggi molti docenti accettano volontariamente di assumere orari aggiuntivi (pagati, naturalmente) fino a 24 ore, mi si dovrebbe spiegare come sia possibile per i maestri e le docenti dell’infanzia svolgere le 24/25 ore previste dal contratto. Forse che l’insegnamento nelle superiori (per lo più frontale) è più impegnativo che avere una sezione di bambini di 3 anni per 6 ore giornaliere, di cui la gran parte senza la compresenza? Francamente non lo credo. Un tempo tale differenziazione la si giustificava con il fatto che le docenti della scuola dell’infanzia e primaria erano delle semplici diplomate, ma ora che il percorso di studi è stato equiparato e si parla della “funzione docente unica”, quale motivazione può reggere tale distinzione?   



Aggiungo che nelle scuole paritarie il “recupero” delle ore non lavorate durante l’anno scolastico per i periodi di sospensione delle lezioni è un dato acquisito, senza che ciò abbia provocato reazioni indignate da parte delle organizzazioni sindacali.  

Fermo restando che, come si diceva all’inizio, i contratti si stipulano in due e che mai una parte accetterà di vedere aumentato il suo impegno lavorativo senza un compenso aggiuntivo, ritengo che si potrebbe aprire un dibattito costruttivo che miri a coniugare qualità del servizio e valorizzazione della funzione docente, che non si esplica più (e di questo non solo i contratti ne prendono atto) nella semplice “lezione” in aula. 

Questo è un compito che spetta alla politica e al Parlamento, dove purtroppo prevalgono le ragioni elettorali: come si fa a mettersi contro centinaia di migliaia di docenti e delle loro famiglie? Anni fa un illustre pedagogista di sinistra, Roberto Maragliano, diceva che “non si può affidare la riforma dei trasporti ai ferrotranvieri” e aveva ragione da vendere. 

I partiti politici, specie quelli di sinistra, sono ormai al rimorchio delle organizzazioni sindacali e non riescono a sfidare l’impopolarità dei propri aderenti o simpatizzanti.  Eppure bisogna avere il coraggio di avanzare qualche proposta. 

Provo a fare qualche esempio sul modo razionale di immaginare l’impegno giornaliero dei docenti a scuola. Si prenda il bel film di Lucchetti “La scuola”: tutti potrebbero facilmente riconoscere nel lavoro della prof. incaricata di fare l’orario settimanale la realtà vera delle nostre scuole. Il sottoscritto ha in mente le lotte all’ultimo sangue sul giorno libero, le ore di buco, le entrate posticipate o le uscite “accoppiate” (i docenti sanno a cosa mi riferisco) e le “disponibilità” alle supplenze volontarie o obbligate per il cosiddetto “completamento”. 

Ebbene si potrebbe (si dovrebbe, a parere del sottoscritto) far sì che ogni docente rimanga a scuola per l’intera mattinata (magari 5 giorni su 6) così da evitare il dramma delle “classi scoperte” o dell’“inseguimento” dei docenti, che, finito il loro orario, cercano di scappare per evitare supplenze necessarie. Tra parentesi, in molte scuole superiori si ricorre da tempo alle entrate posticipate o uscite anticipate degli alunni (che è un colpo al diritto allo studio!) per assenze brevi dei docenti, che non si riescono a coprire sia per ragioni di tempo sia per carenza di fondi per le supplenze. 

Cosa fare a scuola durante le ore “buche”? A parte le supplenze, vi si possono svolgere tutte le attività comprese nel cosiddetto Fis (dalla biblioteca ai laboratori alla progettazione di attività extrascolastiche), per non parlare dell’aggiornamento individuale, considerato finora più un diritto (quasi mai negato) che un dovere. Le scuole dispongono in genere di una biblioteca didattica, nonché di riviste, ahimé poco consultate. Un orario razionale, organizzato cioè in maniera da contemplare “buchi” in contemporanea fra docenti della stessa disciplina, potrebbe consentire inoltre riunioni mattutine di dipartimento disciplinare o la “progettazione” di percorsi interdisciplinari, evitando in parte le riunioni pomeridiane, o le cosiddette “compresenze” nella stessa classe di più insegnanti. Ci aggiungiamo le ore di ricevimento di genitori o degli studenti e, ultimo ma non meno importante, la correzione dei compiti. 

In sostanza spetterebbe alla scuola e ai suoi organi collegiali (ma anche ai singoli insegnanti in accordo con la dirigenza) individuare l’organizzazione più efficace ed efficiente del monte-ore residuo oltre le 18 di insegnamento. 

Le risorse per tale innovazione si possono trovare unificando il budget per le supplenze con il Fia e il Fondo per l’autonomia (ormai purtroppo ridotto al lumicino), che la scuola gestirà autonomamente e senza aggravio di spesa per lo Stato. Tutto ciò andrebbe naturalmente contrattato, ma è noto che il contratto è stato sospeso e quindi occorrerà aspettare prima di modificare l’orario di servizio.

Mi sia permesso aggiungere infine un punto sul quale c’è stato proprio all’inizio di quest’anno un interessante dibattito su alcune Riviste scolastiche: è giusto che si debbano contare all’interno delle famose 40 ore di “attività funzionali all’insegnamento” (mi riferisco essenzialmente a quelle per la programmazione di inizio anno e per le verifiche finali) quelle svolte in periodo di non attività didattica, quando cioè non si svolgono lezioni?