Il fronte della scuola si agita, ma non tanto per le notizie che provengono da Roma, bensì per la partita che si sta aprendo in Lombardia sul versante dell’autonomia scolastica. Il progetto di legge regionale presentato lo scorso 27 gennaio (“Per la crescita, lo sviluppo e l’occupazione”) introduce pesanti novità nel campo dell’istruzione, corrispondenti a dirompenti “invasioni” in quello del centralismo trasteverino. All’articolo 4 della sezione che si occupa del sistema educativo, infatti, si prevede la riattivazione del percorso integrato tra istruzione e formazione professionale secondo la ricetta lombarda (diversa da quella emiliano romagnola: e qui potrebbero scorrere fiumi di inchiostro) per cui gli istituti professionali statali possono offrire percorsi di istruzione e formazione professionale che consentono il conseguimento della qualifica e del diploma professionale rispettivamente al terzo e al quarto anno.
La notizia bomba è però un’altra. L’articolo 5 del medesimo testo, infatti, ridisegna l’autonomia scolastica mettendo le scuole statali in grado di reclutare il personale docente con un concorso di istituto che, spiega la nota informativa, “realizza l’incrocio diretto fra domanda e offerta”. È in effetti da qualche tempo che la Regione retta da Formigoni si propone di valorizzare l’autonomia scolastica nella prospettiva disegnata dal Titolo V della Costituzione che attribuisce alla legislazione esclusiva dello Stato solo il compito di fissate le norme generali sull’istruzione e alla legislazione concorrente tutta la restante materia concernente l’istruzione, “salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche”, con esclusione della istruzione e della formazione professionale. Si tratterebbe di un’autonomia sostanziale, legata al progetto didattico di ciascun istituto e non limitata dai criteri di funzionalità che lo Stato assegna agli enti periferici. L’autonomia scolastica di cui tratta il Dpr 275/99 è infatti di ben altro tenore, poiché muovendosi sui binari concettuali del passaggio di funzioni dal centro verso l’esterno, consente alle scuole una certa libertà didattica e organizzativa, ma non quella finanziaria.
Il progetto lombardo ha provocato un’alzata di scudi da parte dei sindacati (dalla Flc Cgil all’Anief), affezionati al tradizionale e più controllabile sistema di assunzione tramite le graduatorie provinciali dei docenti, e invece, a quanto pare, un attento estimatore nella persona del ministro dell’Istruzione Francesco Profumo.
La ragione di questo interesse risiede nel ridimensionamento in sede di approvazione del decreto legge sulle semplificazioni del sogno di una autonomia responsabile da conferire alle scuole, che ora in qualche modo, dopo il crollo di un’illusione, si vede rinascere a mo’ di fenice in terra lombarda.
Il decreto sulle semplificazioni, pubblicato in Gazzetta il 9 febbraio, dispone infatti che l’auspicata autonomia gestionale che il ministro intendeva conferire alle istituzioni scolastiche, assegnando loro risorse finanziarie e un organico funzionale, costituito dal personale docente stabilizzato per tre anni ed eventualmente incrementato per il potenziamento dell’offerta didattica (pur senza maggiori oneri per la finanza pubblica), sia ora ridotta ad una più generica “attuazione dell’autonomia”, i cui caratteri sarebbero precisati da Linee guida adottate entro sessanta giorni dalla data di conversione in legge del decreto stesso. Che è come dire spedire l’autonomia sulla luna. Tutto come prima a livello progettuale: potenziamento della gestione autonoma delle istituzioni scolastiche, trasferimento di risorse in forma sperimentale, organico funzionale, organico di rete; ma niente di tangibile e realizzabile nell’immediato. Tranne appunto Linee guida da scrivere per intero in un futuro prossimo.
Se ne ricava che sul tema decisivo della governance delle scuole e delle modalità di assunzione dei docenti, ancora una volta a dettare legge sono le ragioni di una economia ragionieristica e non quelle dell’innovazione che è capace di sfidare il presente per guardare alla scuola come una risorsa per il futuro.
Sullo sfondo di questa ulteriore débacle, segno di un irrigidimento dell’ottica con cui si guarda all’educazione e alla formazione, si collocano quali “personaggi in cerca di autore” il Tfa, il nuovo sistema di reclutamento, la riforma degli organi collegiali. L’autonomia era un nodo e anche questo è rinviato (a Linee guida).
Ecco perché torna di attualità il caso lombardo, che si accresce di un altro pizzico di novità con la nomina ad assessore della giunta Formigoni per l’Istruzione di Valentina Aprea. È a questo punto evidente la logica: se ce la si fa a Milano, forse l’autonomia è esportabile a Roma. Viceversa è impossibile.