Si è tornati a parlare molto, in questi giorni, di Ici alla Chiesa, dopo che il governo “tecnico” di Mario Monti avrebbe deciso, al riguardo, di seguire l’“illuminata” indicazione europea: niente più esenzione per le attività “non esclusivamente commerciali” della Chiesa. Anche se la norma non è chiarissima, pare che alla fine non pagheranno le tasse solo i luoghi di culto.
Squilli vittoriosi di tromba hanno accompagnato l’annuncio da parte di chi, in questi mesi, ha continuato a suonare la grancassa di una Chiesa cattolica esentata dal versare l’Ici sui locali dove preti affaristi e gaudenti sacrestani avrebbero libera licenza di lucro, mentre gli altri son condannati a pagare tutto, fino all’ultimo eurocent.
Si tratta – non è certo la prima volta, né purtroppo sarà l’ultima – di un esemplare caso di balla mediatica, perché la licenza d’evasione ecclesiale sancita per legge proprio non è mai esistita.
La Chiesa, infatti, paga già l’imposta sugli immobili – si chiami Ici o Imu – in una notevole quantità di casi; è invece esentata dall’imposta sugli immobili quando svolge attività non profit, di solidarietà. Quando cioè fa del bene.
Si scrivono molte cose riguardo alle attività della Chiesa esenti dall’imposta, e molte sono sbagliate. Pertanto, per maggiore chiarezza, può essere utile fare qualche esempio concreto attingendo ad un interessantissimo dossier pubblicato dalla Fondazione Cristoforo Colombo (Chiesa e Ici: non passiamo per fessi)
Ecco dunque che cosa prevede la legge attuale.
1. Oratorio parrocchiale che affitta all’esterno i campi di calcio: paga l’Ici, perché l’affitto delle strutture non è considerato «attività sportiva».
2. Scuola materna parrocchiale: non paga, perché rientra tra le «attività didattiche». Ma la condizione è che sia una scuola «paritaria», che non discrimini nell’accesso e che reinvesta gli eventuali utili nell’attività didattica.
3. Negozio che vende rosari e altri oggetti religiosi a fianco di un santuario: deve pagare, perché la vendita di oggettistica non rientra nelle otto attività previste dalla legge per l’esenzione.
4. Locali mensa per i poveri e dormitori gestiti da un’opera religiosa: non devono pagare, perché le attività assistenziali sono esenti, a condizione che le prestazioni fornite siano gratuite o pagate con compenso simbolico.
5. Appartamento di proprietà di una parrocchia dato gratuitamente a famiglia bisognosa: deve pagare, perché l’affitto di immobili non rientra tra le attività esenti.
6. Locali del bar dell’oratorio: devono pagare l’Ici, perché la somministrazione di bevande non rientra tra le attività esenti.
7. Locale libreria inserito in una struttura di un ente ecclesiastico: deve pagare l’Ici, in quanto la vendita di libri non è attività esente.
8. Cinema con proiezioni aperte a tutta la città: non deve pagare, in quanto attività culturale, ma a condizione che proietti solo film di interesse culturale, d’essai, d’archivio, o film con attestato di qualità…
9. Teatro parrocchiale: non deve pagare, ma solo a condizione che si avvalga esclusivamente di compagnie amatoriali.
10. Ospedale gestito da congregazione: non deve pagare, in quanto attività sanitaria, ma solo a condizione che la struttura sia accreditata dal servizio sanitario nazionale.
11. Clinica privata gestita da congregazione religiosa: deve pagare.
12. Albergo gestito da un ordine religioso (e con cappella annessa): deve pagare, in quanto gli alberghi non sono esenti. Non paga solo se è una casa di accoglienza per soggetti predefiniti (es: per parenti dei malati), e a condizione che le rette siano inferiori ai prezzi di mercato.
(Studio tratto da Avvenire del 10 dicembre 2011, a firma Massimo Calvi)
Il problema vero della norma, dunque, è la riconduzione di ogni attività cosiddetta commerciale al sistema impositivo dell’Ici/Imu senza alcuna attenzione alla natura no profit delle opere che utilizzano i locali.
E visto che si è ancora in tempo per rimediare ad eventuali errori, è bene che il governo Monti tenga presente che siffatta norma potrebbe portare nell’immediato qualche spicciolo nelle casse dello Stato esattore, ma che in breve tempo rischierebbe di rivelarsi un formidabile boomerang. Sono state sparate cifre enormi: 400, 700, 2.000 milioni di euro di nuovi entrate per il fisco. Macché; l’introito complessivo che si realizzerebbe con l’emendamento sarebbe di circa 100 milioni di euro, che sono davvero briciole a confronto dei nuovi oneri (e degli enormi problemi sociali!) che lo Stato dovrebbe sostenere se gli enti cessassero le loro attività di solidarietà sociale.
Un piccolo esempio per capirci meglio. Moltissime scuole paritarie sono ospitate in locali di proprietà ecclesiastica, ed è questione letteralmente di vita e di morte per molti di questi istituti non aver un ulteriore aggravio di costi grazie al sistema impositivo Ici/Imu (è già un bagno di sangue adesso per costi del personale, costi ordinari e straordinari di gestione, manutenzione delle strutture e altri balzelli…).
Nell’attuale contingenza economica, che vede una sensibile riduzione di iscritti perché molte famiglie non riescono a far fronte alla retta scolastica, diverse scuole paritarie di ogni ordine e grado hanno già dovuto chiudere non per mancanza di iscritti ma per insostenibilità economica. E si tratta di enti senza scopo di lucro (le scuole paritarie con scopo di lucro in Italia sono una assoluta minoranza). Lo sa il governo Monti che la scuola paritaria, pubblica esattamente come la statale, fa “risparmiare” allo Stato 6 miliardi di euro all’anno? Ha senso farla chiudere?
Bene, è solo un piccolo esempio, tanto piccolo che se il governo “tecnico” (quindi di persone che dovrebbero saper far bene i conti) varasse tale norma, penalizzando così tutto il non profit esistente in Italia, avrebbe bisogno di moltiplicare la suddetta cifra per molte volte, prima di arrivare al totale del danno per le casse dello Stato. Siamo proprio sicuri che si voglia arrivare a tanto?