«L’apprendistato di primo livello, che riguarda quindi i minorenni, era già nato con la legge Treu 196/2006, ma all’epoca non dava né una qualifica né tantomeno un diploma. E’ poi intervenuta la legge Biagi, con il decreto legislativo 276/2003, il cui articolo 48 ha modificato l’apprendistato di primo livello prevedendo che, nell’ambito del diritto e dovere all’istruzione e alla formazione introdotto dalla riforma Moratti, fosse finalizzato all’acquisizione di una qualifica professionale». Eugenio Gotti, esperto di politiche dell’istruzione e formazione professionale, commenta in questa intervista il via libera della Conferenza delle Regioni allo schema di accordo per la regolamentazione dei profili formativi dell’apprendistato per la qualifica professionale, con l’apprendistato professionalizzante e quello di alta formazione e ricerca. «Il problema – continua Gotti – è che quell’articolo prevedeva un accordo tra singola Regione, ministero del Lavoro e ministero dell’Istruzione per dare seguito a tutta la procedura e, prima di poterlo fare, bisognava mettere a regime quei percorsi di istruzione e formazione professionale di riferimento per gli apprendisti».



Con quali conseguenze?

Che il tutto è stato posticipato, tanto che è rimasto in vigore in via transitoria il precedente apprendistato per minori della legge Treu, che prevedeva una mera formazione di 240 ore all’anno. Successivamente, nel 2010, quando i percorsi di istruzione e formazione professionale sono andati a regime, la Lombardia ha fatto un’attuativa dell’articolo 48 della legge Biagi per attivare l’apprendistato di primo livello rivolto esclusivamente ad apprendisti lombardi. Così la Lombardia ha fatto l’accordo e ha stanziato 3 milioni di euro l’anno per tali percorsi, prevedendo alcuni aspetti che ritroviamo poi nell’accordo nazionale.



Per esempio?

Innanzitutto in entrambi i casi l’apprendistato deve portare alle stesse qualifiche di istruzione e formazione professionale dei ragazzi che svolgono i percorsi in aula. Questa politica, oltre ad avere delle competenze tecnico-professionali da traguardare, ha anche delle competenze di base significative: ricordo che siamo ancora nell’ambito dell’obbligo dell’istruzione, e c’è quindi anche un impegno formativo importante che nell’accordo tra Regione, ministero del Lavoro e dell’Istruzione è di 400 ore l’anno di formazione interna o esterna all’azienda.

Questo riguardava l’accordo lombardo. Quello nazionale?



Il documento approvato dall’allora ministro Sacconi, l’attuale decreto legislativo 177/2011, ha di fatto recepito questo testo unico e, almeno per quanto riguarda l’apprendistato di primo livello, ha confermato in qualche modo l’impianto dell’articolo 48 della legge Biagi, ma con alcuni cambiamenti.

Quali?

Innanzitutto per attivare questo apprendistato non è stato necessario un accordo tra singola Regione e ministeri, ma tra tutte le Regioni e lo Stato, approvato dalla Conferenza Stato-Regioni. Il testo di cui stiamo parlando è in pratica una proposta di tutte le Regioni al governo proprio per arrivare a questo accordo.

L’ulteriore cambiamento?

Il secondo elemento riguarda il fatto che si può raggiungere non solo la qualifica di istruzione e formazione professionale, ma anche il diploma professionalizzante che di norma viene raggiunto dai ragazzi che eseguono questi percorsi dopo 4 anni di studi. La terza novità è invece rappresentata dal fatto che la partecipazione a questo apprendistato di primo livello è consentita anche ai ragazzi fino ai 25 anni, quindi non solo ai minorenni.

Cosa può dirci dell’importanza di questo tipo di contratto?

Si tratta di uno schema di accordo che le Regioni hanno proposto e che dovrà poi essere vagliato dai ministeri, in particolare dell’Istruzione e del Lavoro, e giungere in sede di Conferenza Stato-Regioni per l’approvazione. Il governo e le parti sociali stanno puntando sull’apprendistato come forma contrattuale privilegiata per l’ingresso nel mercato del lavoro. Non solo sull’apprendistato di primo livello, ma anche sul secondo, che riguarda sempre un percorso formativo, però più leggero perché non orientato al raggiungimento di un titolo di studio.

Sta quindi esprimendo un giudizio positivo?

Sicuramente l’apprendistato rappresenta una riforma di qualità, perché si tratta di un contratto con una componente formativa che, a tutti i livelli, permette di avere una prima esperienza nel mercato del lavoro. La seconda considerazione riguarda il fatto che, finalmente, anche nella cultura italiana, sta nascendo una affermazione positiva del riconoscimento del lavoro con valore formativo.

Cosa serve affinché l’apprendistato diventi davvero uno strumento così importante?

Se si vuole veramente che l’apprendistato diventi la forma prioritaria di accesso al mondo del lavoro per i giovani, è necessario che le parti sociali mettano a tema la questione della proporzionalità della retribuzione in relazione all’impegno formativo.

 

(Claudio Perlini)