Con l’estensione dell’Imu agli edifici della Chiesa anche molte scuole paritarie rischiano ora di essere equiparate a delle attività commerciali. Una novità che ha suscitato le proteste del segretario nazionale Salesiani scuola, don Alberto Zanini, il quale ha dichiarato: “L’Imu ci obbliga alla chiusura. Già adesso stiamo vendendo le case di don Bosco per pagare la messa in sicurezza degli edifici, se il governo ci tartassa pure con questa imposta iniqua dovremo chiudere le nostre scuole, licenziare gli insegnanti”. Ilsussidiario.net ha intervistato Maria Grazia Colombo, presidente nazionale Agesc, per chiederle un commento sulla vicenda.



Che cosa ne pensa dell’emendamento voluto dal governo sulla fine dell’esenzione Imu per gli enti ecclesiastici, che sembrerebbe riguardare anche le scuole paritarie?

Lo Stato italiano attraverso il ministero riconosce la parità di alcune scuole, che quindi sono riconosciute attraverso la legge 62/2000. Ciò avviene secondo alcune caratteristiche e con alcuni criteri ben precisi. Mi domando quindi perché occorra specificare il tipo di funzione e di servizio messo in atto da queste scuole. Le scuole paritarie devono rimanere al di fuori del dibattito sull’Imu, perché essendo riconosciute, in quanto svolgono un servizio educativo-formativo-scolastico, alla pari dello Stato, non posso poi essere paragonate ad altre attività che vengono considerate commerciali e che non hanno nulla a che vedere con l’educazione. Non sono gli enti che gestiscono le scuole a dover risolvere il problema, ma lo Stato stesso il quale stabilendo che sono scuole paritarie certifica che abbiano determinati requisiti.



Le scuole paritarie però fanno pagare una retta …

Il punto è che questa retta dovrebbe pagarla lo Stato. Le scuole paritarie fanno pagare una retta esclusivamente perché sostituiscono lo Stato. Se lo Stato desse lo stesso importo che dà per le scuole statali, anche le paritarie sarebbero gratuite. Il finanziamento in Italia passa attraverso la legge finanziaria, e lo Stato per ogni studente della scuola statale paga 5.200 euro l’anno contro i 530 euro per ogni studente della scuola paritaria.

Le differenze sono le rette pagate dai genitori. Ma non esistono anche delle scuole-diplomificio?



Che ci siano anche i diplomifici è un altro discorso, ma lo Stato attraverso il Miur ha dei criteri precisi per verificare se una scuola assolve il suo compito o fa altro. La Regione Lombardia mette a disposizione la dote scuola proprio perché lo Stato non finanzia in modo adeguato le scuole paritarie. In un momento in cui abbiamo un governo tecnico che fa di tutto per riuscire a tagliare quello che è troppo dispendioso e che non è una risorsa, per cui va giustamente a toccare tutti quei punti nevralgici in cui c’è una fuoriuscita di finanziamenti che non rientrano poi come risorse per tutto il Paese, è assurdo gravare in modo così pesante sulle scuole, che oltretutto fanno anche risparmiare lo Stato. Quando Monti parla di equità e di efficienza, dovrebbe quindi prima fare un po’ di calcoli.

 

Lo Stato dovrebbe tenere conto anche della natura non profit delle paritarie?

 

Certamente. Come si può pensare a un investimento e a una risorsa per il futuro dei giovani, anche dal punto di vista educativo, e poi introdurre una tassa del genere che penalizzerebbe moltissimo specialmente queste situazioni? Basti pensare alle scuole su tutto il territorio italiano. Al Sud spesso le scuole sono l’unica presenza e l’unica risorsa di aggregazione tra le famiglie e le persone. Tra quelle famiglie cioè che rappresentano il futuro dell’Italia, un Paese dove la crescita demografica è pari a zero. E noi andiamo a penalizzare queste realtà che sono di aiuto e di supporto importantissimo per l’esperienza educativa delle giovani famiglie?Dentro questa situazione penalizzare le scuole è controproducente sotto ogni punto di vista.

 

Occorrerebbe introdurre uno statuto ad hoc per il non profit?

 

Occorrerebbe trovare delle soluzioni tecniche che vadano bene per tutti. Ma il punto vincente per il futuro del nostro Paese è senz’altro aiutarci a fare in modo che ognuno di noi si riappropri di una funzione e di un compito proprio di ognuno, di una valenza sociale. Parlare di educazione significa parlare di qualcosa di pubblico, e non di privato. L’educazione è un bene sociale e noi dobbiamo aiutarci e aiutare i nostri educatori ad avere questo senso di appartenenza a una esperienza che non sia “privata” in senso negativo, ma a disposizione di tutti.

 

(Pietro Vernizzi)

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