Il decreto sul TFA (Tirocinio formativo attivo transitorio) ha superato anche l’ultimo ostacolo che restava sul suo cammino. Lo scorso 30 dicembre il Ministro per la Pubblica amministrazione e la Semplificazione aveva dato il via libera e venerdì, dopo due mesi (sic!), è arrivato anche il parere positivo del Mef (Ministero dell’Economia e della Finanza). Nel parere si afferma che «il decreto recante la programmazione degli accessi ai percorsi formativi per l’insegnamento nella scuola secondaria di primo e secondo grado» è coerente con quanto enunciato nel famoso regolamento per la formazione iniziale degli insegnanti (DM n. 249 10 settembre 2010) e viene sancita la sua «compatibilità economico-finanziaria». Ora si è aggiunta la firma del Ministro Profumo e l’incubo è finito.
Quello della “abilitazione all’insegnamento” dei giovani laureati è stato infatti un vero percorso a ostacoli, aggravatosi nel giugno dello scorso anno, quando da fonti ministeriali sono circolati dati sulla disponibilità dei posti che parlavano chiaro. Per i giovani le porte erano sostanzialmente chiuse: una misera manciata di posti per le classi di concorso principali nelle regioni più importanti (i primi dati ufficiosi dedotti da un presunto “fabbisogno reale” riportavano le sconvolgenti cifre di 1.370 posti per il TFA di I grado e 886 per il TFA di II grado).
Abbiamo allora rivolto un’accorata Lettera aperta all’ex ministro dell’Università, significativamente intitolata “Zero tituli”. In settembre, dopo segni evidenti di sordità del governo, abbiamo lanciato un pubblico appello (appellogiovani.it) che in quattro giorni ha raggiunto più di 14.000 firme, tra cui anche quelle di molte personalità autorevoli (con qualche esponente dell’attuale Governo). Da quella raccolta di firme si sono riaperti i giochi che ora, con la firma del Ministro Profumo, si sono positivamente chiusi.
Il decreto appena firmato riporta numeri finalmente equi per l’attivazione dei TFA transitori: 4.275 per il TFA di I grado e 15.792 per il TFA di secondo grado, per un totale di 20.067 posti. Sono numeri che tengono nel debito conto sia l’esigenza dei giovani, che si sono stratificati dal 2008 a oggi, sia l’offerta formativa delle università (che era di circa 26 mila posti, considerando però anche le lauree magistrali per le scuole medie, assenti dal testo di questo decreto e rimandate a uno successivo).
Pur con un ritardo che ci è parso a tratti incomprensibile (perché far passare tre mesi per licenziare il provvedimento? Si rischia infatti di far slittare di un altro anno la concreta attivazione dei TFA transitori), il Governo ha dimostrato di non essere insensibile alle preoccupazioni espresse dall’appello dello scorso settembre: il peso dell’annosa e stratificata situazione della scuola italiana non poteva essere scaricato sulle sole spalle dei giovani e, in secondo luogo, l’abilitazione andava distinta dalla immissione in ruolo (avere un titolo abilitante non è avere un posto di lavoro). Ora occorrerà pubblicare subito il decreto e preparare al più presto le prove ministeriali (se il tempo necessario fosse troppo lungo, si potrebbe delegare l’onere alle università per questo primo ciclo) e stabilirne le date.
Un primo passo è stato fatto. Ne restano altri e urgenti. Se non vogliamo affossare il Paese dobbiamo rilanciare la professione insegnante – andava in questo senso l’invito del commissario europeo Olli Rehn dello scorso 26 ottobre. Prima di immaginare nuovi “concorsoni” bisogna approntare, e rapidamente, un nuovo sistema di reclutamento che sia davvero meritocratico, che eviti i rovinosi automatismi del passato (con le famigerate “graduatorie”) e lasci più libertà alle singole scuole di attingere al bacino degli abilitati.
La professione insegnante è un fattore decisivo di sviluppo e di crescita e non può essere annoverata tra gli ammortizzatori sociali. I giovani che oggi intraprendono studi in vista dell’insegnamento sono normalmente assai motivati e ben consapevoli di dover affrontare notevoli sacrifici: ma spesso si ha l’impressione che si faccia di tutto per scoraggiarne l’impeto, mortificarne la passione. Se la scuola resta un fanalino di coda negli interessi del Governo non andremo molto lontano. L’apporto di giovani disponibili a spendersi nel compito di educare è vitale per un Paese: valorizzarlo è l’intelligenza di chi lo guida.