Il riconoscimento della funzione pubblica delle scuole non governative in un sistema misto controllato dallo Stato è, ormai, oggetto di attenzione in molti paesi.

Siamo rimasti tra gli ultimi a gravare ancora pesantemente sul diritto di scelta dei cittadini, in ossequio al principio settecentesco che solo lo Stato può propriamente gestire le scuole nell’ambito del circuito pubblico. Le notizie di questi giorni sulla eventualità che  asili e scuole parificate chiudano perché non possono far fronte anche alla nuova Imu, ci fanno capire che ci troviamo più indietro di quanto non pensavamo di essere. Il provvedimento sarebbe un reagalo al vecchio impianto statalistico che, sempre più carente in equità ed esiti, crea una nicchia protetta per tutelare la scuola dalla competitività del sistema.



L’esperienza di altri paesi ci suggerisce che allargare la libertà di scelta (anche economicamente) della scuola è una via alta per migliorare la competizione creando, a regime, risparmi da reinvestire nel miglioramento della scuola statale.

Secondo Education at a Glance 2011 (Tav. D5.5-1/2) ormai 3 paesi OCSE su 4 coprono più del 50% dei finanziamenti della scuola paritaria della società civile (governative dependent private schools). Sappiamo anche che tali finanziamenti vanno dall’80% al 100% tra i paesi del Nord Europa più performanti sotto il profilo PISA (Svezia, Finlandia, Danimarca, Norvegia, Olanda e, più recentemente, Inghilterra). Nella nota EAG relativa al nostro paese, invece, non solo si tace di questo disallineamento internazionale ma anche si vorrebbe far intendere che “le famiglie italiane” (sic!) “possono usufruire di detrazioni fiscali delle rette scolastiche, in modo da sostenere più agevolmente i costi dell’insegnamento privato”.



Sotto il profilo di un allargamento del concetto di istruzione “pubblica”, negli ultimi due decenni, il mondo scandinavo è stato un interessante laboratorio di innovazione. Per limitarsi alla Svezia, nei primi anni 90, venne introdotta la “rivoluzione della scelta”, con un programma di vouchers che consentiva alle scuole libere (friskolor) di ricevere finanziamenti dalle autorità locali. Anche queste scuole fanno parte del sistema scolastico pubblico e, pertanto, ne condividono i fondi con similari criteri di ripartizione. Il loro costo pro capite a livello di istruzione obbligatoria comporta un risparmio per la collettività di almeno il 7% rispetto alle scuole municipali (Swedish National Agency for Education, Costs National Level, part. 3, 2009, Skolverket, Stockholm, 2010).



Il sistema dei vouchers ha prodotto buoni risultati, in parte nel recupero degli studenti che frequentavano senza successo alcune scuole governative carenti, ma soprattutto nel riaccendere una disposizione al miglioramento nella scuola pubblica. Le novità adottate nel settore privato hanno indotto le scuole statali ad innovare a loro volta. Si potrebbe in questo caso parlare di un circolo virtuoso. Il fatto è che, prima della riforma e in regime di monopolio, le scuole governative avevano pochi incentivi per offrire una buona istruzione, ma furono forzate a migliorare quando la concorrenza entrò nel vivo. Secondo la Swedish National Agency for Education le stesse scuole governative hanno avuto migliori risultati nei territori dove c’è più competizione. In particolare, nelle grandi città, dove la frequenza nella secondaria superiore libera è estesa ad oltre il 40% degli studenti.

Nelle scuole libere i benefici che conseguono gli studenti con condizioni socio-economiche svantaggiate rispetto agli altri sono addirittura più consistenti in termini di risultati, e gli studenti con famiglie di basso reddito si avvantaggiano di più di quelli con famiglie più ricche. Nei contesti consolidati di parità effettiva delle scelte (come, ad esempio, in Olanda) la natura delle scuole libere tende a perdere la connotazione selettiva e, dando ragione alle previsioni di Freedman, diviene più democratico il loro accesso.

La liberalizzazione del sistema scolastico, dunque, non accresce il fenomeno della ghettizzazione, che non può essere risolto restringendo la scelta dei genitori ma, piuttosto, chiudendo le scuole scadenti. Proprio a questa conclusione accenna il capitolo di Education at a Glance 2011 dedicato alla Market accountability (D5): le autorità amministrative (higher educational authorities) devono avere la possibilità di chiudere le scuole quando queste falliscono nei loro obiettivi.