Nella sua giusta caccia all’evasore, l’Agenzia delle entrate ha deciso ancora una volta di inserire le scuole private tra gli indicatori di ricchezza.
Il nuovo redditometro dovrebbe entrare in funzione entro giugno 2012, rendendo operativo il meccanismo che confronta i redditi dichiarati dai contribuenti con l’effettivo tenore di vita misurato attraverso le spese sostenute. Un sistema in via di messa a punto dopo un’analisi che, come spiegava mercoledì Repubblica, ha posto sotto la lente di ingrandimento 22 milioni di famiglie e 50 milioni di soggetti divisi in undici tipologie. Lo strumento si impernia su 100 voci di spesa suddivise in 7 macrocategorie: casa, mezzi di trasporto, assicurazioni, istruzione, attività ricreative, investimenti ed altre spese. In pratica, sarà posto sotto controllo il possesso di barche, di auto di grossa cilindrata, di cavalli da corsa, ma anche i viaggi di un certo livello e visite ai centri spa; non mancherà la segnalazione anche per chi manda i figli alla scuola privata o fa un’assicurazione sulla vita.
Ogni consumo – spiegava ancora Repubblica – ha un peso ponderato statisticamente che, attraverso un algoritmo, si trasforma in reddito presunto. Chi mostrerà una differenza di almeno il 10 per cento tra il reddito dichiarato e quello effettivo sarà sottoposto all’accertamento fiscale. Ecco fatto, l’evasore è fritto. Forse.
Non abbiamo certo intenzione di difendere chi evade il fisco, reo quantomeno di procurare un notevole danno al bene comune; siamo anche certi che lo strumento potrà rivelarsi utile a recuperare risorse sottratte a tutti dall’evasione, tuttavia occorre fare chiarezza su alcuni aspetti.
Innanzitutto sulle scuole private, che rischiano ancora una volta di essere genericamente ed erroneamente accomunate ad effimeri beni di lusso. È vero, si possono spendere cifre rilevanti per scuole “esclusive” che sono, talvolta, delle scorciatoie per garantire ai figli un diploma senza che debbano troppo studiare. Ma sono davvero casi isolati; la maggior parte delle scuole private sono, al contrario, istituti nati e cresciuti grazie all’iniziativa e alla libera scelta di famiglie che, a costo anche di pesanti rinunce, vogliono offrire ai figli un percorso formativo ed educativo conforme ai propri valori.
Tra l’altro, in base alla legge 62/2000, quasi tutte le scuole non statali non sono più private ma paritarie, e dunque inserite a pieno titolo nel sistema nazionale d’istruzione; si tratta, nella maggior parte dei casi, di realtà non profit, che richiedono il pagamento di un retta non elevata per supplire alla carenza – tutta italiana – dei finanziamenti pubblici necessari alla loro sussistenza, ma che tuttavia mettono a disposizione borse di studio, gratuità, sconti di ogni tipo e misura, impegnandosi in continue azioni di fund raising, proprio per assicurare a tutti quell’accesso che, in quanto scuola “paritaria” facente parte del sistema nazionale d’istruzione (e in ossequio al principio di libertà di educazione riconosciuto dalla nostra Costituzione) dovrebbe essere garantito senza ostacoli…
Difficile evitare il sorgere di un sospetto sgradevole: che la scuola “privata” non sia ben vista da una certa classe di persone (e da certe ideologie) e, di conseguenza, si cerchi di “colpirla” includendola tra i beni di lusso. Le si arreca, in ogni caso, un danno di immagine difficilmente recuperabile e un danno economico spaventando i possibili utenti.
Una ulteriore e conclusiva considerazione è necessaria sul tema “educazione”. Sappiamo bene che i tempi sono difficili e che è necessario reperire nuove risorse economiche anche attraverso una serrata lotta all’evasione, ma troppo importante è la questione educativa per essere mescolata ad aspetti di tutt’altra natura! Anziché identificare le famiglie che sostengono i costi dell’istruzione non statale come dei potenziali o probabili evasori, allora, perché non incamminarsi decisamente verso una piena e totale parità, che consenta di scegliere senza oneri aggiuntivi (o a parità di oneri) scuole statali o non statali?
Sparirebbero le scuole esclusive, perché sarebbero per tutti e non solo per i “ricconi” potenziali evasori, e pure i diplomifici, perché non potrebbero più lucrare sul rilascio del titolo di studio; lo Stato, infine, risparmierebbe enormemente (non dimentichiamo che risparmia 6miliardi di euro l’anno grazie alle paritarie, e che un alunno di scuola primaria statale costa allo Stato 7.336 euro, a fronte degli 866 di un alunno di scuola paritaria). Ma, soprattutto, si investirebbe sul bene più importante per il futuro della nostra società: il capitale umano, che è ciò di cui più c’è bisogno per accrescere l’output potenziale del nostro paese, anche in termini economici.
Insomma, anziché investire nella cultura del sospetto che piace tanto a certi quotidiani (tutti possibili evasori fino a prova contraria…), investiamo in cultura della educazione. Ne avrebbe un enorme giovamento tutta la nostra società.