Jean Monnet, il grande architetto dell’unità europea, qualche giorno prima di morire confidò: “Se l’Europa fosse da rifare io comincerei dalla cultura”. Anche nel nostro Paese sono necessari lavori di restauro. La prima vera liberazione è quella della cultura e della scuola. In quest’ottica, credo sia possibile cambiare la scuola, applicando, nell’ordine, cinque mosse.
1. Innanzi tutto va completata la “monca” Legge 62/2000. “Monca” perché se ha istituito un sistema nazionale integrato di istruzione e di formazione che colloca, accanto alle scuole statali, quelle non statali paritarie, con una sostanziale identità di funzione e di ruolo nel perseguimento di fondamentali obiettivi, ha colpevolmente trascurato l’aspetto economico. Da qui la predisposizione del finanziamento pubblico (cioè con il denaro dei contribuenti) per l’intero sistema nazionale di istruzione e di formazione, in attuazione dell’equipollenza economica dalla Costituzione prevista: infatti l’istruzione è, oltre che diritto individuale, anche un “bene pubblico”, che va tutelato e sostenuto, attivando modalità economiche equitative nei riguardi dell’intero sistema nazionale di istruzione e di formazione.
2.Va, poi, concretizzata l’autonomia – pedagogico-didattica, programmatica-culturale, organizzativa-finanziaria, istituzionale-gestionale – riconoscendo la possibilità alla singola unità scolastica di determinare con propria decisione il proprio comportamento, teso a garantire una maggiore e più reale rispondenza alle esigenze ed ai bisogni concreti che di volta in volta si vanno delineando. Ciò significa sostenere l’iniziativa dei cittadini, singoli e associati, nello svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà. Occorre de-statalizzare l’attuale sistema di tipo centralistico, burocratico e verticistico, con un sistema snello capace di valorizzare l’iniziativa e le istanze che provengono dai soggetti interessati, dal territorio e con il territorio operare in prospettiva. Se, in ultima analisi, la funzione della scuola è quella di insegnare ad essere autonomi, come può la scuola espletare il suo compito e insegnare l’autonomia se essa stessa non è autonoma? È tempo che libertà e autonomia decisionale, nel loro sinergico significato valoriale, vengano attuate!
3. Il diritto all’apprendimento, all’educazione, all’istruzione appartiene alla persona, così come il dovere di istruire ed educare i figli è primariamente dei genitori e della famiglia. È attraverso il riconoscimento di tale diritto/dovere della persona e della sua famiglia – e non della scuola – che va previsto ed esplicitato il sostegno economico. In quest’ottica, lo strumento è e resta il “buono” a copertura degli oneri di frequenza della scuola. Questa possibilità è da sempre insita nella Costituzione. Il “buono-scuola” – come sostenuto anche da altri – aiuterebbe anche la scuola di Stato a capire che, se le spese di istituzione devono essere senza condizioni a carico della collettività, quelle di funzionamento devono, invece, essere in qualche modo meritate e correttamente gestite. Studenti e famiglie continuerebbero, infatti, a scegliere l’offerta formativa non per mancanza di alternativa, ma per fiducia e in libertà, perché convinti che quel ambito istituzionale (reso autonomo) corrisponde alle loro attese e ai loro bisogni educativi-formativi.
4.Si comincia a parlarne, anche se pretestuose resistenze tendono ad invalidarne il valore. L’unica, la più importante, riforma dell’istruzione resta l’abolizione o svalutazione del valore legale dei titoli di studio. Solo se l’ordine degli studi verrà svincolato dal monopolio pubblico del sapere e dell’educazione, si potrà avere un sistema scolastico fondato sulla libertà. Va superata l’incompatibilità tra libertà di insegnamento e esami di Stato. Allo stato attuale i cosiddetti esami di Stato rappresentano una valutazione degli studenti totalmente insignificante e per i docenti sono un rito frustrante e penoso. Va condivisa l’idea di illustri giuristi che la valutazione non va fatta in uscita dei cicli di studio, bensì in entrata: “abolire il valore legale dei titoli di studio significa che gli esami di licenza sono sostituiti dagli esami di ammissione”. Cioè gli studenti devono essere chiamati a dimostrare di essere idonei a poter e voler frequentare quella scuola, quella università, quel impegno lavorativo e professionale. La fonte del valore dei titoli che le scuole rilasciano non è, o meglio, non dovrebbe essere rappresentata dalla presunta garanzia dello Stato, ma dal credito che gli stessi titoli conquistano nella pubblica considerazione. Poiché (di fatto) non esiste nessuna garanzia statale, esiste un valore morale che ogni istituto conquista e mantiene perfezionando l’insegnamento e il tirocinio educativo che esso fornisce ai suoi alunni.
5. A completamento del percorso, dovrà essere modificato l’art. 33 della Costituzione. Se è vero, come detta al primo comma, che “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”, molti dei commi susseguenti risultano essere palesemente in contrasto. Se ne deduce che questo articolo deve essere rivisto: lo Stato non può dare “autonomia” alle scuole e riconoscere “libertà” ai propri cittadini, obbligandoli, però, a fare ciò che lui vuole! E ciò partendo dal fatto che compito dello Stato non è quello di gestire le scuole, ma soltanto quello di regolare, promuovere, sostenere, controllare ciò che emerge nella comunità, intervenendo solo laddove viene meno l’iniziativa. Il tutto nell’ottica di un pur graduale processo di de-statalizzazione e con la consapevolezza che la cultura e la scuola non si fondano sullo Stato, ma sulla libertà.
Utopia? Forse sì, e forse no. Occorre rivedere il rapporto “Stato-cultura” e “Stato-società” e riguardare il significato vero da attribuire all’“educazione”, all’“apprendimento”, all’“insegnamento”, alla “scuola”, allo stesso concetto di “libertà”. E ciò sostenuto da una pur adeguata modulazione che preveda l’indicazione di parametri snelli di riferimento, utili ad orientare l’intero sistema verso i vari principi ed interessi di rilievo in questo campo (diritti, doveri, responsabilità, moralità, trasparenza) e che devono necessariamente coniugarsi fra loro. Il tutto teso alla costruzione del “bene comune” in una società democratica, pluralista, solidale e più giusta.