Il Corriere della Sera si straccia le vesti – di domenica – perchè nella scuola pubblica lavorano meno professori quando gli alunni crescono. I fatti sono (quasi) sempre incontestabili, ma – al contrario di quanto recita la regola giornalistica – vanno sempre collegati alle opinioni di chi li sbandiera e li “vende”. Sono decenni che – quotidianamente – il Corriere invoca tagli alla spesa pubblica “a prescindere”: sempre e comunque, soprattutto se a doverla tagliare era il governo Berlusconi. E quasi ogni giorno (e soprattutto nelle ultime settimane) il giornale si è sgolato a chiedere privatizzazioni e liberalizzazioni, concorrenza e meritocrazia. Ora improvvisamente Via Solferino riscopre la buona vecchia scuola pubblica? Va bene, ma almeno parliamone un po’: parlando degli investimenti in istruzione e ricerca dell’Azienda-Italia, non per slogan obliqui e ipocriti. E non certo accusando la politica scolastica della Regione Lombardia: che libertà scolastica, sussidiarietà, competizione nell’offerta li ha praticati nei dintorni di Milano, non si è limitata a predicarli da qualche campus americano.
Comunque oggi il Corriere è pressocchè fisicamente al governo. E il premier Mario Monti – e il suo ministro dell’education, Francesco Profumo – se lo ritengono, possono capovolgere “per decreto” le politiche scolastiche di Mariastella Gelmini o Roberto Formigoni. In questa cornice di “democrazia sospesa” possono stabilizzare decine di migliaia di precari: ovviamente col prevedibile compiacimento della Cgil, radicatissima nella scuola pubblica. Possono lasciare intatta la mappa degli istituti e dei presidi: ma cosa direbbero gli economisti alla Giavazzi, o i consulenti alla McKinsey? Sicuro che la ditta Stella-Rizzo non sia invece favorevole alle fusioni tra scuole piccole e inefficienti, “costo della politica”?
Nella sua prima presa di posizione da incoming president della Confindustria, Giorgio Squinzi ha chiesto di rivedere l’elefantiasi universitaria, a cominciare dalla durata dei corsi. Il “patron” della Mapei vi sembra un liberista selvaggio, un macellaio del servizio pubblico? E poi le “riforme strutturali” non le chiedono “l’Europa, i mercati”? Non le vuole Draghi, “l’altro super-Mario”? Far funzionare meglio la scuola e l’università, certamente, è la prima riforma: più ancora che agitare lo “scalpo” dell’articolo 18. Parliamo di questo, signor Corriere della Sera.