Il ministro Profumo promette di oliare il sistema, non di rivoluzionarlo. Una pretesa legittima? E soprattutto, funziona? Potrebbe, a due condizioni: il controllo energico della struttura interna all’amministrazione e la realizzazione di un circolo virtuoso con la società civile, in modo che le più significative esperienze di risposta al bisogno di educazione e formazione siano valorizzate. In entrambi i casi il processo sembra avviato, anche se non mancano zone grigie e pericolosi momenti di stasi dell’apparato.
La recente nomina dei capi dipartimento per l’Istruzione e l’Università sui posti per troppo tempo vacanti è un segnale che va nella prima direzione, così come lo sblocco della vicenda del Tfa (tirocinio formativo attivo) che dovrebbe includere a breve circa 20mila giovani laureati in materie attinenti l’insegnamento nel novero degli idonei ad esercitare la professione docente. E qui di lubrificante ne servirà tanto per rimettere velocemente sui binari una macchina, quella della formazione iniziale, da troppo tempo ferma e forse immemore di tutti gli snodi rappresentati da un congegno abilitante che chiama in causa, contemporaneamente, l’amministrazione centrale e periferica, l’università e la scuola.
Qui sta il punto. Non è sufficiente avere reso ufficiali i numeri dei posti disponibili per l’abilitazione transitoria – anche se dopo la tregenda dei mesi scorsi degli scarsi numeri assegnati e poi corretti, il segnale di una svolta è arrivato – per poter ascrivere a successo di un “nuovo corso” la partenza dei corsi abilitanti.
Gli adempimenti sono ancora numerosi e di varia competenza, perché si possa partire entro giugno, come promesso, con il Tfa transitorio per la scuola secondaria di primo grado e per quella di secondo grado. Nella consapevolezza tra l’altro, come rimarcato nella nota ministeriale del 2 marzo, che le prove di accesso al Tfa saranno bandite di anno in anno: cioè dunque fino alla messa a regime delle nuove lauree abilitanti (per la scuola media e superiore) che necessitano pure esse di prendere il via, una volta che i numeri dei posti attribuiti alle regioni siano suddivisi tra le classi di concorso e le università. Bisognerà precisare, per recuperare un credito nei confronti dei giovani insegnanti messo a repentaglio dai passati tentennamenti, se si intende ripetere la prova nazionale di accesso a distanza di un anno o di pochi mesi (perché ad esempio non replicarne subito un’altra a settembre?); bisognerà mettere subito le università nella condizione di emanare i bandi per l’avvio dell’anno di Tfa in modo che si sappia dove saranno effettuati i corsi; infine, una domanda tra le tante: dato che a favore dei soggetti non abilitati che insegnano è consentito lo “svolgimento del tirocinio senza interrompere la predetta attività” (art. 15, c.13, a), gli insegnamenti di scienze dell’educazione e di didattiche disciplinari da seguire presso le università saranno anche on line, per una parte o interamente? Perché escluderlo a priori?
Parrebbe necessaria e urgente la stesura di linee guida alle prove d’accesso e allo svolgimento del tirocinio che potrebbero rispondere alle varie questioni cui si è accennato.
Insomma, una regia attenta dovrà tenere insieme tutti gli elementi di un programma di governo che, come detto, si propone di ricomporre i pezzi di un sistema disarticolato, ma che non può farlo se non guarda avanti e soprattutto al compito fondamentale della scuola, che è quello di rispondere ad una domanda di formazione e di educazione.
A questo livello si colloca il tema dell’autonomia scolastica con il quale la marcia dell’attuale governo si incrocia almeno due volte: direttamente e indirettamente. Nel primo caso, avendone declinate le caratteristiche tramite il “decreto semplificazioni”; nel secondo caso, dovendo prendere posizione sul caso della Regione Lombardia. Ci sono state incertezze, come già è stato notato, in sede di stesura dell’articolo 50 del decreto semplificazioni sul quale la Camera ha votato la fiducia (si attende quella del Senato). In un primo tempo pareva che alle scuole dovesse essere concessa subito una “autonomia responsabile” con conseguente trasferimento di risorse finanziare e organico funzionale (detto “organico dell’autonomia”); poi, come ad interrompere un sogno troppo bello per essere vero, si è passati nell’attuale formulazione del testo alla “attuazione dell’autonomia” da definire mediante linee guida da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto stesso (i tempi ministeriali!).
La vera bomba è tuttavia il progetto di legge della Regione Lombardia “Misure per la crescita, lo sviluppo e l’occupazione”, che sta seguendo il suo iter nelle commissioni consiliari e che all’art. 8 prevede il reclutamento diretto del personale docente da parte delle scuole. Su questo fronte non saranno ammissibili tentennamenti e indietreggiamenti, perché, come le parti in causa (Regione e Miur) hanno ben enucleato, i criteri di assegnazione del personale sono di competenza delle Regioni, in virtù dell’attuazione del titolo V e degli accordi intervenuti in sede di Conferenza Stato Regioni.
È evidente, come la contestazione accesa dei Cobas e dei sindacati, Cgil Scuola in testa, lascia presumere, che non c’entra per nulla il rischio del federalismo etnico (scuola regionale: fuori i terroni), bensì la sperimentazione di una scuola che si mette in rapporto con la sua utenza e delinea un’offerta formativa che implica la scelta di docenti anzitutto competenti.
Avanti dunque con l’olio e con il coraggio. E non si lasci impantanare la macchina nei giochi interni all’amministrazione come quello accaduto con il corso per docenti tutor d’aula, promosso dal Miur insieme all’Anfis (Associazione Nazionale dei Formatori Insegnanti Supervisori), che ha costretto i responsabili dell’iniziativa ad un clamoroso chiarimento a fronte delle rimostranze delle associazioni professionali della scuola: non si tratta di un corso per tutor dei prossimi tirocinanti del Tfa! È solo un corso…
Altri traguardi si profilano nell’immediato, di enorme importanza, oltre a quelli indicati: anzitutto la soluzione della questione graduatorie dei precari, che significa anche indizione di nuove prove concorsuali per l’ingresso in ruolo, e la delineazione di un nuovo sistema di reclutamento.
Qui la regia dovrà farsi capace non solo di navigare a vista, ma di dare esempio di capacità progettuale innovativa e indipendente.