What’s wrong with the teenage mind?, cosa c’è di sbagliato nella testa degli adolescenti, titola il Wall Street Journal in un importante pezzo a firma Alison Gopnick, professoressa di Psicologia a Berkeley. La questione è effettivamente interessante per tutti, sebbene sembrino giocarsela prevalentemente gli psicologi dello sviluppo e i neuroscienziati, ancora incerti se collaborare o contendersi il campo. Esisterebbero due sistemi, quello psicologico e quello neurale, in stretta interazione fra loro e fondamentali nella trasformazione dei bambini in adulti. Negli ultimi due secoli parrebbe che lo sviluppo di tali sistemi si sia radicalmente modificato, creando una specie di desincronizzazione. Come dire che oggi lo sviluppo arriva presto, ma la maturazione molto più tardi. Il neurobiologo americano Jay Giedd parla addirittura degli adolescenti come di persone che hanno in mano una macchina molto potente senza neanche avere la patente. Si tratterebbe allora di “risincronizzare” la mente.
Lo dichiaro subito: non mi trovo a mio agio né con tale terminologia, pur essendone come medico familiare e possedendo gli strumenti per comprenderla e giudicarla, né soprattutto con la concezione di uomo che vi è sottesa.
Resisto all’idea dei ragazzi ridotti solo a processi biologici e molecolari così come alla teoria dei loro errori quale esito di una pura modificazione di sistemi che si tratterebbe di regolarizzare con mezzi chimici o strategie comportamentali. Resisto, ma non in maniera romantica od ottusamente (e anacronisticamente) antiscientifica. Non ho infatti nessun motivo di negare che tali processi esistano, operino e possano anche essere modificati con specifici interventi; nego piuttosto la riducibilità del pensiero dei ragazzi ad essi. Preferisco giocare su altri tavoli.
Nella testa degli adolescenti è il titolo di un libro recensito da Ammaniti in un articolo di Repubblica che si apre proprio con lo spunto offerto dal pezzo del giornale americano. Ed ecco tornare nuovamente la sfasatura fra cervello emotivo e razionale.
Eppure per capire cos’hanno in testa i giovani basta ascoltarli. Non bisogna essere degli scienziati né tantomeno dei mindreader, è sufficiente avere due orecchie e prestare attenzione alle loro parole.
Perché saranno pure desincronizzati, magari anche sbilanciati sulle emozioni piuttosto che sul giudizio, più maturi nel corpo biologico che nella testa, ma tutti hanno qualcosa da dire. A volte lo fanno, altre no. In quest’ultimo caso è solo perché non si fidano di come tratteremmo le loro parole, non perché siano degli otri vuoti.
Fuori dagli stereotipi in cui li infilano gli adulti così come fuori dalle logiche di gruppo cui a volte decidono di sottostare, emergono invece desideri, aspettative e progetti. Certe volte li ritroviamo in brandelli, fatti a pezzi e caduti sotto i colpi di qualcuno che li ha demoliti, altre volte li troviamo distorti, censurati, mutilati e trasformati per errori di prospettiva generati dal pensiero che si è infilato in strade svantaggiose.
Eppure tutti pensano. Alcuni bene, altri male. Ecco qui la differenza fra un adolescente che si muove per il proprio vantaggio e successo e un altro che invece opera in un regime di diseconomia, dove ci perde in primis lui stesso e poi gli altri che vivono con lui.
La buona notizia è che il pensiero può riprendersi, può ritrovare una strada buona giudicando se stesso, gli errori compiuti e identificare modalità nuove di farsi pratico. Ossia, può tornare a pensare bene.
Perché ciò accada è però necessario che si metta al lavoro con un compagno che gli sia amico, che gli riconosca il potere di cui è dotato. Potere che assume prima la connotazione di un verbo che quella di un sostantivo: poter stringere rapporti con una forma nuova e vantaggiosa, poter studiare la storia e la geografia sapendosene fare qualcosa, poter preferire gli amici che fanno star bene, poter identificare interessi che possono trasformarsi in passioni. Insomma potere di nuovo, sfuggendo finalmente alla condanna della cattiva alternativa fra impotenza e prepotenza. Alternativa in cui anche – se non soprattutto – gli adulti si impantanano.