A fare la differenza nel rendimento scolastico degli studenti è soprattutto il tempo che i genitori decidono di trascorrere a parlare con loro. E’ quanto emerge da un approfondimento del rapporto Pisa 2009, che analizza il ruolo dei genitori nel successo scolastico dei figli. I ragazzi 15enni che, mentre frequentavano il primo anno della primaria, hanno passato molto tempo a leggere e conversare con i genitori hanno un punteggio di 21 punti superiore a quello dei loro coetanei. E anche prendendo in considerazione studenti con la stessa estrazione socio-economica, la differenza di rendimento tra chi discute di attualità con i genitori e chi non lo fa è di 14 punti. Per Giuseppe Bertagna, ordinario di Pedagogia generale all’Università di Bergamo, “sarebbe interessante verificare anche altri aspetti diversi dall’apprendimento teorico, come le abilità manuali, il know how tecnologico e la dimensione corporeo-affettiva. Il nodo centrale dell’educazione è infatti l’equilibrio tra ciascuna di queste dimensioni”.
Professor Bertagna, come valuta i dati che emergono dal rapporto Pisa 2009 sull’educazione in famiglia?
La forza dell’educazione sta nella famiglia, soprattutto se i bambini sono coinvolti da una vera relazione paterna e materna, che non sia basata su elementi come il silenzio, l’ordine, la disposizione, il potere e l’obbedienza cieca. Anche questo è un elemento che conferma l’importanza di un nucleo familiare in cui i genitori siano entrambi presenti e attivi. Mi fa piacere inoltre che finalmente la dimensione socio-economica sia meno rilevante delle relazioni familiari. Da un lato mi stupisce che l’aspetto socio-economico non sia così incidente, dall’altro quando si parla dell’importanza della famiglia mi sembra una conferma di quanto si sapeva già. La famiglia e i genitori sono infatti fondamentali, e quando svolgono il loro ruolo con una sensibilità educativa i risultati si vedono. Laddove questo capita, se riusciamo a neutralizzare l’influenza negativa dell’aspetto economico, abbiamo buone speranze per il futuro.
Quali ritiene che possano essere i limiti del rapporto Pisa?
Sono almeno 100 anni che esistono evidenze empiriche che dimostrano che le classi cosiddette “agiate”, che hanno stili di relazione con i figli basati sulla parola, sul discorso, sul dialogo e sull’apertura al sociale, riescono a ottenere risultati migliori a scuola rispetto a quelli che provengono da famiglie meno agiate e più povere. Queste ultime hanno stili di comportamento diversi, e preferiscono le attività manuali rispetto a quelle teoriche, e quindi l’aspetto operativo e addestrativo, come il lavoro, alla riflessione formale. Ma questa è semplicemente la conferma che la scuola dà al proprio modello educativo. Se la scuola fosse invece giocata, anziché sugli aspetti formali, su quelli manuali e sulla riflessione su di essi, o sulle dimensioni più legate alla corporeità, alla transizione, alle attività, forse avremmo risultati differenti. Sarebbe quindi interessante comparare, attraverso sperimentazioni, la verità o meno dell’ipotesi che le ho illustrato.
Secondo il rapporto Pisa però, non solo la differenza tra studenti che parlano con i figli e quelli che non lo fanno è di 21 punti, ma il vantaggio è di 14 punti anche nei ragazzi con un background simile …
Se la scuola certifica e verifica le dinamiche familiari, questo è un elemento di conferma. Bisogna però vedere se è opportuno certificare e verificare anche paradigmi o modelli che nella scuola non trovano coltivazione e che tuttavia sono diventati importanti anche per l’equilibrio etico e sociale del nostro tempo. Per esempio per quanto riguarda l’utilizzo delle nuove tecnologie e i social network da un lato e i risultati di apprendimento dall’altro.
Ritiene quindi che sarebbe stato importante che il rapporto Pisa verificasse anche l’aspetto relativo ad abilità manuali e know how tecnologico?
Secondo me sarebbe assolutamente decisivo, anche perché l’educazione è sempre integrale e l’aspetto scolastico valuta o avvalora determinate componenti dell’aspetto educativo, ma non valuta né avvalora dimensioni che strategicamente e storicamente la scuola trascura. Tra queste ci sono per esempio anche le dimensioni corporeo-affettive. L’idea dell’integralità dell’educazione implica che non debba sviluppare solo la mente, le mani, il sentimento o il cuore. Il nodo centrale dell’educazione è l’armonia, l’equilibrio tra queste dimensioni. In modo tale quindi che non ci sia mai l’una senza l’altra, e che l’una si inveri nell’altra. Se l’educatore si sofferma troppo su una dimensione e trascura le altre, fallisce quindi il suo compito.
(Pietro Vernizzi)