Nel Fedro Platone racconta di una conversazione tra il re d’Egitto e l’inventore dell’alfabeto Theuth:
“Questa scienza (la scrittura), o re – disse Theuth – renderà gli Egiziani più sapienti e arricchirà la loro memoria …”. E il re rispose: “O ingegnosissimo Theuth, una cosa è la potenza creatrice di arti nuove, altra cosa è giudicare qual grado di danno e di utilità esse posseggano per coloro che le useranno. E così ora tu, per benevolenza verso l’alfabeto di cui sei inventore, hai esposto il contrario del suo vero effetto. Perché esso ingenererà oblio nelle anime di chi lo imparerà: essi cesseranno di esercitarsi la memoria perché fidandosi dello scritto richiameranno le cose alla mente non più dall’interno di se stessi, ma dal di fuori, attraverso segni estranei…. Né tu offri vera sapienza ai tuoi scolari, ma ne dai solo l’apparenza perché essi, potendo avere notizie di molte cose senza insegnamento, si crederanno d’essere dottissimi, mentre per la maggior parte non sapranno nulla; con loro sarà una sofferenza discorrere, imbottiti di opinioni invece che sapienti”.
Con un piccolo sforzo di trasposizione non facciamo difficoltà a ritrovare le obiezioni dei nostri giorni all’utilizzo delle nuove tecnologie da parte dei giovani e la descrizione del rapporto con i giovani d’oggi e la difficoltà di dialogo con loro. Così ad esempio Maria Pia Biroccesi su IlSussidiario.net: “Nessuno può negare che la “generazione net”, quella cresciuta con Internet, abbia modalità di apprendimento sicuramente più veloci e immediatamente gratificanti, ma che, di fatto, oggi per la prima volta rischi di veder tramontare l’esperienza stessa del sapere (da sapere, provare il sapore, gustare), a causa di un uso banalizzato, indistinto, “una sorta di consumo” delle molteplici conoscenze che vengono accumulate e come divorate, senza che suscitino alcuno stupore o gusto”.
Si può dire che l’autrice abbia torto? Certamente no. Ma possiamo affermare che i tanti che hanno fatto esperienza di molteplici letture ed hanno accumulato conoscenze dai libri abbiano tutti vissuto un’esperienza di sapere contrassegnato da gusto e stupore? Che cos’è che permette che un’enciclopedia cartacea non sia un puro monumento di erudizione e che la lettura dei libri passi “dall’erudizione al bello”, e “dal bello al vero” per dirla come Leopardi?
Queste poche iniziali riflessioni permettono di far capire che il problema attuale della tecnologia per la scuola e l’apprendimento non è la tecnologia in sé, ma una somma assai più complessa di molteplici fattori. Dobbiamo osservare il gap tra la rapidità delle innovazioni tecnologiche che coinvolge i ragazzi e lo standard della scuola: mentre fino a trent’anni fa i ragazzi passavano da casa a scuola facendo un balzo in avanti nel tempo della cultura, perché ancora trovavano di solito più conoscenza e tecnologia rispetto alle loro famiglie d’origine, oggi i ragazzi, arrivando sui loro banchi di scuola da casa, spesso fanno un balzo all’indietro nel passato rispetto alle loro camerette multimediali.
Allora quali risposte può dare la scuola di fronte ad interrogativi davvero epocali che mettono in discussione la possibilità stessa di apprendere e di conoscere in modo veramente umano?
Una via praticata è quella di realizzare ambienti di apprendimento adatti ad un utilizzo costante e diffuso delle tecnologie nella quotidianità scolastica. Al di là delle difficoltà in cui la maggior parte delle scuole versano per la mancanza di risorse economiche ed umane, l’uso dei mezzi tecnologici può aprire nuove strade.
Utilizzare 25 tablet in classe insieme e sistematizzare il lavoro svolto in classe costringe ad imparare l’ordine e l’organizzazione. Ai ragazzi permette di produrre qualcosa di personale e di vivere lo studio da protagonisti. Osservare un adulto che utilizza Internet e lavorare insieme con lui, permette di maturare nell’uso consapevole della rete che è sempre a loro portata in tutti i momenti della giornata.
Inoltre non si deve credere che le nuove tecnologie escludano le vecchie. Gli alunni possono possedere ed utilizzare insieme libri, penne, matite, righelli, compassi. Il mezzo tecnologico innovativo aiuta l’insegnante a non fissare la sua didattica solo su uno strumento, ad esempio il libro di testo: con il tablet anche il manuale o l’antologia potrebbero ritrovare il loro giusto posto, strumenti, testi che non sostituiscono le teste.
Di fronte agli interrogativi sulle capacità – pare sempre più latitanti – di analisi e sintesi, sulle difficoltà di concentrazione dovute alle abitudini multitasking dei giovani, sulle carenze diffuse di capacità di argomentazione per l’abbandono del procedimento lineare a favore dei procedimenti a rete e per accumulo, sulla trascuratezza o sul disinteresse al vaglio critico delle fonti come criterio imprescindibile per sviluppare lo studio e la ricerca, quel che stiamo proponendo è la compiuta risposta? Ovviamente si tratta di tentativi. Ma la sfida è aperta per un soggetto che abbia a cuore l’educazione delle giovani generazioni senza illudersi che essa possa avvenire con la semplice ripetizione di schemi conosciuti.
Isaac Asimov, nel suo noto racconto Chissà come si divertivano!, parla di una scuola del futuro, personalizzata secondo le esigenze del singolo alunno, una scuola domestica gestita da sistemi di automazione. Con grande sorpresa, i due bambini protagonisti, Tommy e Margie, scoprono, per mezzo di un libro trovato in soffitta, che, in passato, gli alunni non erano istruiti da un insegnante elettronico, come invece accadeva a loro, ma si recavano negli istituti scolastici, per seguire un’istruzione comunitaria, impartita da insegnanti umani.
“Tommy la squadrò con aria di superiorità. – Ma non è una scuola come la nostra, stupida!
Margie era offesa. – Beh io non so che specie di scuola avessero, tutto quel tempo fa. – Per un po’ continuò a sbirciare il libro, china sopra la spalla di lui, poi disse: – In ogni modo, avevano un maestro.
– Certo che avevano un maestro, ma non era un maestro regolare. Era un uomo.
– Un uomo? Come faceva un uomo a fare il maestro?
– Beh, spiegava le cose ai ragazzi e alle ragazze, dava da fare dei compiti a casa e faceva delle domande.
– Un uomo non è abbastanza in gamba…”
Sì, anche di fronte alla tecnologia la questione è che ci siano donne e uomini abbastanza in gamba da raccogliere il guanto della sfida educativa.