Lo “sciopero” francese dei compiti a casa (per gli studenti delle scuole elementari, ndr) incontra l’interesse del ministro Francesco Profumo. La notizia ha scavalcato le Alpi con estrema facilità, e da un paio di giorni fa discutere anche in Italia. Niente compiti, protestano i genitori transalpini, per quindici giorni. E la Fcpe, la prima associazione di genitori delle scuole pubbliche francesi, ha fatto sua la protesta. Il malessere, in altri termini, è diffuso. I bambini passano molte ore a scuola, ma quando arrivano a casa, la sera, spesso devono passare altro tempo sui libri. E in famiglia aumentano lo scontento e il nervosismo. Troppo stress, insomma.



«Credo che oggi nella scuola i nostri ragazzi» ha dichiarato il ministro Profumo intervenendo a SkyTg24, commentando quello che sta accadendo in Francia «imparino solo una parte delle loro competenze. Molti input arrivano da altre sorgenti. Se quei 15 giorni di pausa fossero utilizzati per rafforzare altri canali, perché no?» Meno compiti di tipo tradizionale, sembra dire il ministro, non verrebbero per nuocere. «Si possono dare stimoli agli studenti senza che questi siano formalmente compiti». «In linea di massima Profumo ha ragione» osserva Giorgio Chiosso, pedagogista, «ma ci vuole cautela. Innanzitutto perché la Francia non è l’Italia. poi perché il momento dell’apprendimento individuale è insostituibile».



Professore, come giudica la protesta dei genitori francesi?

Là c’è una tradizione che non prevede i compiti a casa in quanto i ragazzi completano i loro esercizi in classe. C’è perfino una legge che lo dice.

Sì, è una norma del 1956. I genitori protestano. Da un lato perché i bambini, dopo aver fatto un’intera giornata a scuola, devono stare sui libri anche la sera; dall’altro, perché se occorre studiare anche a casa allora la scuola a che serve?

Ma da noi la situazione è completamente diversa, dal punto di vista normativo non c’è nulla di analogo. Occorre distinguere, perché ci sono diverse formule: quelle delle 27 e delle 30 ore, che però verrà abbandonata; poi le 24 ore, e il tempo pieno. Credo che sia eccessivo prevedere i compiti a casa per chi fa il tempo pieno, è vero; e in questo caso anche in Italia i francesi avrebbero «ragione». I bambini hanno bisogno di giocare, di svagarsi, di stare con le famiglie. Se però fanno meno ore, non vedo quale danno possano fare un po’ di compiti. Anzi.



Si può pensare di rinunciare, anche nel caso di un bambino, al tempo dedicato allo studio individuale?

Assolutamente no: è fondamentale a qualunque età. Il momento della riflessione sull’apprendimento è un’esperienza tipicamente individuale e quindi non si può eliminare. Si può stare a scuola se la giornata si prolunga dal punto di vista didattico, ma se non si impara a scuola occorre farlo a casa.

Il ministro Profumo non si è mostrato contrario alle ragioni dei genitori francesi. «Si possono dare stimoli agli studenti senza che questi siano formalmente compiti», ha detto il ministro.

Credo che vi sia una parte di vero e una parte più discutibile. Sicuramente ci sono molto apprendimenti che possono essere realizzati anche attraverso canali non tradizionali. Penso però che oggi i bambini ne facciano già un buon uso. Ecco perché non sottovaluterei la riflessione di tipo più tradizionale del singolo alunno sul libro, sugli esercizi e in generale su ciò che si è fatto in classe la mattina.

In altri termini, nei compiti a casa c’è ancora qualcosa di buono.

Capisco che in questo momento il ministro stia spingendo molto sulle nuove tecnologie, e sono anche d’accordo su questa sua impostazione. Ma questo va contemperato con altre forme di apprendimento. E quella individuale che tutti conosciamo a mio avviso rimane necessaria.

In giovane età, qual è il peggior errore che un genitore può fare?

Sono due: il primo, non preoccuparsi minimamente di cosa fa il figlio a scuola; il secondo, surrogare la scuola, cioè fare il maestro «numero due» a casa. Due errori specularmente opposti ma ugualmente dannosi. Perché il genitore che sta eccessivamente dietro ai figli finisce per creare in essi una mentalità di dipendenza, e il genitore che non se ne occupa sbaglia in maniera grave dando l’impressione che la scuola non conti nulla. Occorre occuparsene, ma senza esagerare. Far parlare molto i bambini, farsi raccontare di quello che fanno a scuola, vedere che svolgano i compiti in maniera ordinata e corretta.

Che cosa deve aver di mira un genitore?

Che un po’ per volta, in ragione della loro età, i figli diventino man mano sempre più autonomi. Se continuiamo ad aiutarli e a soccorrerli, non riescono a crescere e restano dipendenti dagli adulti. No dunque alle «madri tigri», ma nemmeno alle «madri coniglio».