Il disegno di legge n. 3194, intitolato “Conversione in legge del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, recante disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo” è stato approvato alla Camera ed è ora al Senato. L’art. 51 conferma all’Invalsi i compiti già definiti da leggi e decreti precedenti, in particolare il coordinamento del sistema nazionale di valutazione. Ma la novità è che le istituzioni scolastiche partecipano, in quanto “attività ordinaria” d’istituto, alle rilevazioni nazionali degli apprendimenti degli studenti. Questa affermazione è la risposta legislativa alle contestazioni organizzate dai sindacati contro l’impiego di insegnanti nella somministrazione delle prove di valutazione. La somministrazione di prove Invalsi deve essere considerata “attività ordinaria” e servizio istituzionale dell’autonomia scolastica non separabile dalla didattica e dalla valutazione interna.



A stravolgimento sostanziale di questo articolo, il Gruppo parlamentare al Senato del Pd ha presentato due emendamenti: il primo chiede il ritorno al metodo campionario nella rilevazione dei dati; il secondo affida a rilevatori esterni alla scuola la somministrazione delle prove.

Le ragioni immediate di tale presa di posizione del gruppo Pd al Senato, che contrasta con quella del Gruppo del Pd alla Camera, sono evidenti: la Flc – Federazione dei lavoratori della conoscenza (sic!),  cioè la vecchia Cgil-Scuola – è da sempre contraria alla valutazione esterna delle scuole, preferendo di gran lunga l’autovalutazione, ed è da sempre ostile alla rilevazione censuaria, preferendo quella a campione. Al netto dei giochi interni tra le correnti del Pd, emergono due orientamenti politico-culturali di fondo: il Pd prende la linea dal sindacato, con ciò invertendo il movimento della cinghia di trasmissione, che storicamente andava dal partito al sindacato; una parte consistente del Pd resta fedele al vecchio slogan: “nessun nemico a sinistra”, visto che è l’ala più radicale della sinistra che si oppone tanto alla Tav quanto alla valutazione esterna.



Detto in breve: una parte molto consistente della sinistra di origine comunista e cattolica è fortemente conservatrice, su posizioni stataliste e centraliste. Il sistema di istruzione nazionale, in questa visione, è un apparato centralizzato, che fa gli interessi degli addetti, non degli utenti. Il tutto è mascherato da interesse pubblico, bene comune, eguaglianza, “tutto nello Stato, nulla fuori dallo Stato”, come ebbe a decretare il ministro Giuseppe Bottai nella Carta della scuola del 1939. Il ministro è passato, la sua dottrina no. Così la Flc raccoglie ed alimenta la paura degli insegnanti di essere valutati e di dover rendere conto. Benché la valutazione esterna delle scuole non equivalga alla valutazione diretta degli insegnanti – anche perché non è così certa la correlazione tra grado di preparazione degli insegnanti, uti singuli, e i risultati complessivi degli alunni, visto che operano molti altri fattori quali lo status socio-economico, l’organizzazione della didattica, l’ambiente scolastico… – gli insegnanti si sentono messi sotto la lente e ne temono le conseguenze. La prima delle quali sarebbe quella di evidenziare la diversità effettiva delle prestazioni professionali, malamente occultata dalla retorica egualitaria sull’esercizio di una funzione uguale per tutti. E questa differenza potrebbe indurre a ipotizzare carriere e retribuzioni differenziate.



L’opposizione alla rilevazione censuaria è più politica, ancorché mascherata da preoccupazioni statistico-scientifiche. È vero che il campionamento è più facilmente realizzabile, più rigoroso e forse costerebbe anche meno. Preoccupazione che all’epoca del varo dell’Invalsi non era del tutto infondata. Ma quella vera è che il coinvolgimento di massa di intere classi di alunni possa portare acqua ad un movimento di genitori e di opinione pubblica, che chieda a gran voce la valutazione esterna e la pubblicizzazione dei risultati. Se invece l’Invalsi funzionasse come una specie di Istat della scuola, procedendo lungo una via tanto rigorosa quanto asettica nonché riservata, il rischio di una richiesta massiccia di accountability sarebbe minimo.

L’ostinazione conservatrice viene da lontano. La questione della valutazione esterna nasce in Italia nel 1990, in contemporanea rispetto a quella dell’autonomia, nella Conferenza nazionale sulla Scuola, convocata dal ministro Mattarella. Il cantiere autonomia/valutazione fu però realmente aperto solo da Luigi Berlinguer nel 1997. Il quale sulla valutazione – così come sull’autonomia – procedette all’inizio con audacia. Nell’autunno del 1997 egli decise di sottoporre i propri progetti a una sorta di perizia internazionale e indipendente dell’Ocse.

Il gruppo di esperti formulò cinque raccomandazioni: 1. un sistema di valutazione indipendente, che incentri la sua attività sulla definizione di parametri di valutazione (a partire dai quali le scuole possano eventualmente autovalutarsi!); 2. un ente indipendente incaricato di svolgere ricerche indipendenti in materia di istruzione; 3. la revisione dell’istituto dell’ispettorato, che deve essere coinvolto nel programma di miglioramento delle scuole (traducendo con il lessico di oggi: un ispettorato per la qualità); 4. l’utilizzo di sistemi di testing per valutare gli alunni in determinati momenti del corso di studi o in determinate classi, specialmente al termine della scuola dell’obbligo, a campione o a intera coorte, per fornire all’allievo e alla sua famiglia l’informazione circa il livello di rendimento della scuola frequentata; 5. la messa a disposizione dei risultati delle valutazioni ai genitori e alla comunità, sotto forma di medie delle scuole, così da spingere le singole scuole a migliorare e a disseminare buone pratiche soprattutto tra gli insegnanti.

Nonostante le intuizioni e gli sforzi, Luigi Berlinguer non riuscì a combinare molto e si fermò all’autovalutazione. La Moratti introdusse la valutazione esterna e creò l’Invalsi. Tuttavia, a distanza di quindici anni, se ripercorriamo i cinque punti, il bilancio è smilzo: il sistema nazionale è ancora in costruzione, l’Invalsi non è indipendente, l’ispettorato della qualità è impiantato volenterosamente su un concorso per ispettori ordinari, i risultati della valutazione esterna sono consegnati alle singole scuole, ma non alla famiglie, non alla comunità. La valutazione esterna è continuamente strattonata verso l’autovalutazione, che peraltro pochissime scuole realizzano, ed è, anzi era fino ad oggi, considerata attività istituzionalmente estranea alle scuole, imposta dall’esterno. 

L’adozione del metodo censuario, introdotta dalla Moratti, sospesa da Fioroni e poi fatta ripartire dallo stesso in articulo mortis della legislatura 2006-08, era e resta un motore di spinta decisivo dell’intera costruzione del sistema nazionale di valutazione. Donde la necessità per le forze conservatrici di mettere acqua in questo motore. Tirare il freno a mano sulla valutazione esterna serve anche a rallentare lo sviluppo delle autonomie scolastiche, visto che autonomia e valutazione esterna stanno e cadono insieme. L’autonomia nella vulgata della sinistra radicale è sinonimo di privatizzazione. La presentazione di questi due emendamenti è tuttavia positiva e contrario, perché fa emergere una spaccatura nel blocco storico conservatore, che nella scuola è molto forte. È la prima volta che nel Pd si realizza uno scontro così esplicito tra innovatori e conservatori su un tema decisivo. Forse è iniziata la (troppo) lunga marcia della sinistra verso la revisione dei propri paradigmi. Si tratta di vedere se non sia troppo tardi. Ma questa è un’altra storia…

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