C’erano una volta i sindacati di categoria… Non è l’incipit di una favola del ventunesimo secolo e qualcuno obietterà che ci sono ancora oggi. Ecco allora ciò che affermava la ricerca dal titolo profetico Insegnare logora? commissionata dai vertici sindacali del Sinascel-Cisl, nel lontano 1979, all’Università di Pavia su campione statistico di 2000 insegnanti in servizio presso le scuole materne ed elementari, quando le baby pensioni non erano ancora state abolite dalla riforma Amato. Vi erano, infatti, segnali preoccupanti di usura delle corde vocali palesemente riconducibili all’esercizio della professione docente. Ma – inaspettatamente – i ricercatori scoprirono anche altro.
Già la premessa esplicitava in modo inequivocabile la valenza dell’indagine: “Nessun problema può trovare soluzione fino a quando l’opinione pubblica, la classe politica e i responsabili dei centri di potere della società non ne abbiano compreso l’importanza. Questo capita anche per il problema della salute del personale della scuola. Su questo, anzi, gravano retaggi culturali ormai consolidati pregiudizi che continuano a considerare i lavoratori della scuola come persone privilegiate, senza problemi di alcun tipo, e tanto meno di tipo sanitario”.
E proseguiva: “Chi è impegnato nella funzione docente tende a denunciare, magari in modo non articolato, gli effetti stressanti e quindi i riflessi a breve e a lungo termine sullo stato di salute; nell’opinione pubblica, invece, prevalgono forse le posizioni che considerano l’insegnamento un lavoro privilegiato. […] …Chi ha operato e opera da anni nel settore della scuola ha potuto verificare nei fatti come parecchi insegnanti si siano trovati nella condizione di essere consumati dal lavoro senza che l’Amministrazione riconoscesse o volesse riconoscere la malattia come derivante da cause di servizio e provvedesse in merito”.
Altresì, nella sintesi dei risultati, vi si leggeva che: “…Il 29% degli intervistati dichiara l’utilizzo di psicofarmaci (con punte del 34% in periferia), ma solo il 17% si dichiara affetto da ‘esaurimento nervoso’; vengono dichiarate ‘situazioni di disagio, non immediatamente riferibili a sindromi nosologiche precise, ma espressive di stati di sofferenza che si ripercuotono sia a livello somatico che psichico’”.
Trascorsi più di trent’anni, c’è un passo del comunicato Miur del 13 marzo scorso circa la polemica sui numeri dei docenti che non insegnano, che necessiterebbe di maggiore chiarezza e trasparenza visto che l’intento col quale è stato redatto è di “rassicurare i cittadini e gli organi di stampa”. Eccolo: “…Nel dettaglio, e per gli amanti della statistica della PA: quasi il 50% di questi diecimila è composto da insegnanti non più idonei all’insegnamento in classe. Questi sono infatti ben 4.502, e tra i motivi di inidoneità ci sono purtroppo anche malattie professionali, per esempio alle corde vocali. Si tratta però di lavoratori che, pur non insegnando più, sono comunque collocati professionalmente nel Ministero, anche se non più in classe”.
Tutto corretto, nulla da eccepire, ad esclusione del colpevole silenzio sull’aumento, rilevato soprattutto durate l’ultimo decennio da studi e ricerche svolte presso il Collegio medico dell’Asl città di Milano e di Torino per il riconoscimento dell’inabilità al lavoro per causa di salute. In entrambe le città i grafici comparativi tra quattro macrocategorie sono del tutto sovrapponibili per quanto concerne il costante aumento delle patologie psichiatriche e neoplastiche a carico degli insegnanti. Perché, dunque, il Miur non attua quanto richiesto nell’Appello e nell’interpellanza Valditara dello scorso anno?
Perché, come auspicato dalla ricerca sindacale Sinascel-Cisl e mai realizzato, non proseguire le ricerche a livello nazionale considerato che sia in Francia sia in Germania l’allarme suicidi tra gli insegnanti è oggetto di specifici approfondimenti? Se le parti sociali “dimenticano” gli impegni assunti a tutela della categoria, a chi spetta proseguirle a livello nazionale?
“…L’indagine svolta in Lombardia è solo l’inizio di un discorso che dovrà snodarsi nei prossimi anni. Essa ha accertato alcune correlazioni fra incidenza dello stato patologico e condizioni di lavoro nella scuola. Ha posto in chiaro elementi che contraddistinguono la condizione insegnante sia dal punto di vista soggettivo che da quello oggettivo, isolando un gruppo di variabili che prospettano ipotetici fattori di rischio per l’equilibrio psico-fisico dell’insegnante. Tali ultimi elementi conoscitivi andranno sviluppati scientificamente nei prossimi anni con ricerche appropriate, onde consentire una loro rigorosa correlazione con l’incidenza delle patologie professionali”.
Le “malattie professionali” cui si fa cenno, molto vagamente, sono proprio quelle evidenziate nello studio Quale rischio di patologia psichiatrica per la categoria professionale degli insegnanti?, pubblicata dall’autorevole rivista La Medicina del lavoro n°5/2004che afferma: “Alcune categorie di lavoratori, a causa di particolari fattori stressogeni legati all’attività professionale, sono soggetti a rischio di sindrome del burnout. Tale condizione è caratterizzata da affaticamento fisico ed emotivo, atteggiamento distaccato e apatico nei rapporti interpersonali, e sentimento di frustrazione. Autorevoli studi hanno accertato che tale affezione rappresenta un fenomeno di portata internazionale, che ricorre frequentemente negli insegnanti. Sono altresì rare le pubblicazioni comparative sulla prevalenza della sindrome del burnout nelle varie categorie professionali. Addirittura inesistenti gli studi che valutano l’incidenza di psicopatologie tra gli insegnanti. Lo studio Golgota, partendo dall’analisi degli accertamenti sanitari per l’inabilità al lavoro, effettuati dal Collegio Medico della ASL Città di Milano nel periodo 1/92–12/03 per un totale di 3.447 casi clinici, ha operato un confronto tra quattro macrocategorie professionali di dipendenti dell’Amministrazione Pubblica (insegnanti, impiegati, personale sanitario, operatori manuali). I risultati mostrano che la categoria degli insegnanti – in controtendenza con gli stereotipi diffusi nell’opinione pubblica – è soggetta a una frequenza di patologie psichiatriche pari a due volte quella della categoria degli impiegati, due volte e mezzo quella del personale sanitario e tre volte quella degli operatori manuali. Lo studio evidenzia inoltre come gli insegnanti presentino il rischio di sviluppare una neoplasia, superiore di 1,5-2 volte rispetto ad operatori manuali ed impiegati. Le variabili sesso ed età non sono risultate essere fattori di confondimento ai fini dei risultati dello studio. Viene rilevata la necessità di ulteriori approfondimenti epidemiologici, affiancati da contestuali interventi operativi volti a contrastare tempestivamente il disagio mentale negli insegnanti. Si ritiene necessaria l’apertura di un dibattito che coinvolga istituzioni, parti sociali, amministrazioni scolastiche, associazioni di categoria, studenti, famiglie e comunità medico-scientifica, in ragione della portata e della multidimensionalità del problema che interessa gli ambiti sanitario, sociale, culturale, economico ed istituzionale”.
Il grafico ivi pubblicato non lascia dubbi in proposito ed in particolare vi si legge: “…Gli insegnanti presentano pertanto un rischio di patologia psichiatrica doppio rispetto a quello presente nel complesso dei dipendenti pubblici facenti capo all’Inpdap. Il rischio di neoplasia è quasi 1.7 volte superiore e quello di patologia laringea 20 volte superiore per gli insegnanti rispetto alle altre categorie professionali aggregate. Dalla frazione eziologica si evince che la metà delle patologie psichiatriche, presentate come causa di inabilità al lavoro, sono correlate all’attività di insegnante, ed analogo discorso vale per il 40% circa delle patologie neoplastiche ed il 95% delle patologie laringee”.
Se l’apparato fonatorio degli insegnanti resta indiscutibilmente a maggior rischio di usura, all’“apparato” comunicativo dell’ufficio stampa ministeriale occorrerebbe una sana pausa di silenzio per dare un nome appropriato ad ogni cosa. Gli insegnanti non sono né mele e né pere…