Giovani universitari che non sanno più parlare e scrivere in modo corretto. Studenti liceali che si esprimono in modo smozzicato espressione di una incapacità sempre più diffusa a concentrarsi. Qual è la usa e quale è la sindrome? Secondo Alberto Contri, presidente della Fondazione Pubblciità Progresso, le giovani generazioni “vivono oramai in una dimensione di “costante attenzione parziale”. E’ il virus della costante attenzione parziale che si sta diffondendo per l’uso sempre più massiccio di strumenti tecnologici come computer, Internet, telefonini, videogiochi, televisione. E a cui sembra che la classe insegnante non sappia come opporsi.
Prof. Contri, i docenti del network Athena hanno lanciato l’allarme su un virus che si starebbe diffondendo tra i giovani universitari, il virus “della costante attenzione parziale”. Prima di parlare di questo, ci spiega cos’è il network Athena?
Da molti anni la Fondazione Pubblicità Progresso organizza la Conferenza Internazionale della Comunicazione Sociale, che è in realtà un evento che completa ogni anno un percorso fatto di seminari, incontri, eventi, concorsi, che ci hanno offerto l’opportunità di metterci in costante contatto con 90 diverse facoltà di oltre 50 atenei. Abbiamo pensato quindi di mettere a frutto queste frequentazioni proponendo ai docenti più sensibili alle tematiche della comunicazione sociale di costituire un network con lo scopo di scambiare esperienze, condividere progetti anche coinvolgendo in laboratori virtuali gli studenti di ciascuno di loro.
Cosa è previsto in questi incontri?
Negli incontri è previsto un momento di aggiornamento, così alla prima riunione che abbiamo tenuto, ho illustrato una sintesi della lectio magistralis che avevo tenuto a fine 2010 all’Università Iulm sugli effetti della rivoluzione che Internet sta provocando in pubblicità, nel modo di leggere, studiare, divertirsi, consumare, nel modo di relazionarsi tra le persone, con particolare riguardo ai cosiddetti nativi digitali. Quando ho affrontato il tema della crescente difficoltà delle giovani generazioni a concentrarsi e a parlare in un italiano corretto, c’è stato una sorta di plebiscito nel riconoscere che il problema lo si riscontra in qualunque tipo di facoltà e senza distinzioni geografiche: i docenti del network insegnano psicologia, sociologia, marketing, economia, lettere, comunicazione e sono sparsi per tutto il paese, isole comprese. Quindi è come se avessimo fatto una ricerca sul campo con un campione assai rappresentativo dell’università italiana.
Ci vuole spiegare in cosa consiste il virus della costante attenzione parziale?
In realtà, più che un virus, è un problema che sta esplodendo in forma di epidemia per la sua ampiezza. E’ l’emergere di una malattia che ha cause e radici lontane. Stiamo riscontrando che un crescente numero di giovani universitari presenta un linguaggio poco corretto, sgrammaticato, smozzicato, espressione di un modo di pensare sempre più destrutturato, di una crescente incapacità a concentrarsi, ad analizzare e a sintetizzare. Questo avviene perché le giovani generazioni vivono oramai in una dimensione di “costante attenzione parziale”, per cui la profezia apparsa su uno dei primi numeri di Wired (15 anni fa!) si conferma assai indovinata: “Dedichiamo sempre meno tempo a singoli pezzi di media, così, complessivamente, viviamo e pensiamo collezionando frammenti”.
Entriamo ancora di più in questo scenario.
E’ una situazione assai ben rappresentata da una foto che ho fatto realizzare con un ritocco grazie al quale una novella dea Khalì dalle sei braccia tenta di diventare multi-tasking come un computer: in ogni mano ha un telecomando diverso: un cellulare, un tablet, mentre gli occhi guardano diversi schermi televisivi e di pc contemporaneamente. E’ una forzatura simbolica, ma rende bene l’idea del problema: con buona pace di chi difende a oltranza i “nativi digitali” in quanto capaci di fare cose ignote alle generazioni precedenti, schiere di neurologi assicurano che il cervello umano non può funzionare come un computer, e il multi-tasking rimane una splendida opzione tipica del solo sistema informatico. Applicata al cervello, provoca per l’appunto una disattenta raccolta di frammenti e, nell’illusione di guadagnare tempo, sottrae invece tempo prezioso a quello necessario per analizzare, sintetizzare, progettare. Il linguaggio corrotto è quindi il sintomo di un pensiero corrotto. Peggio, come affermava Wittgenstein, “Poiché il linguaggio è il mezzo per rapportarsi con la realtà, se il tuo linguaggio è corrotto, vuol dire che è corrotto il tuo rapporto con la realtà”. Il che significa che la situazione è ancora più grave.
Per la verità sembra annunciare una specie di catastrofe che coinvolge soprattutto la generazione dei nativi digitali. Non ci sarà un problema generazionale per caso?
Ritengo di poterlo escludere. Personalmente sono stato tra coloro che hanno fatto sviluppare il web in Italia: ero A.D. dell’agenzia McCann Interactive che ha fatto passare il provider Tin.it guidato da Andrea Granelli da 30.000 abbonati a 3.600.000 in 18 mesi… insegnando agli italiani persino a settare un modem! Se guardate nella mia borsa ci trovate i-Phone, i-Pad con un sacco di applicazioni. Inoltre tra i docenti del network Athena la maggioranza non ha più di 30-40 anni. Come ho già detto, la qualità e la rappresentatività di questo campione sono una garanzia di obiettività. Anche cattedratici illustri di Università come la Bocconi o la Cattolica concordano con noi sull’esistenza di un altro grave sintomo tipico della “sindrome della costante attenzione parziale”: il metodo di preparazione delle tesi di laurea. Grazie ai motori di ricerca, si reperiscono una enorme quantità di citazioni in pochissimo tempo… che in altrettanto poco tempo vengono copiate e incollate senza alcuna mediazione ulteriore, così da far assomigliare la tesi ad una mal riuscita insalata russa piuttosto che a un testo ragionato, come dovrebbe essere. Il fenomeno sta dilagando anche nei livelli di istruzione inferiori: la versione da fare si trova già tradotta su internet, oppure avviene che quello bravo in matematica passi il compito via social network a tutta la classe…
Questo richiede davvero un ripensamento complessivo, perché di questo passo intere classi non progrediranno più, sfruttando le capacità dei pochi eccellenti.
Scava scava, si scopre che il problema ha cause lontane. In molti denunciano il fatto che nelle prime classi elementari è sparita l’abitudine di far esercitare i piccoli nel riassunto: essenziale metodo per insegnare e far sperimentare analisi e sintesi. L’abolizione o riduzione di greco e latino non ha significato l’abbandono di lingue morte, ma l’abbandono di un fondamentale esercizio di logica. E quanto il tradurre sia importante per imparare a ragionare lo affermano in tanti. Citiamo tra tutti Dario Antiseri: “Traduzione di brani dalle lingue della civiltà antica è una concreta applicazione del metodo scientifico”. E come non parlare delle interrogazioni nelle scuole superiori fatte con i test simili a quelli della scuola guida, con le risposte giuste da barrare? Se si considera poi che su queste povere menti già così destrutturate sono stati lasciati passare per anni interi come schiacciasassi tv e videogiochi senza alcun controllo o assistenza da parte degli adulti, si capisce perché una volta giunti all’università siano sempre meno quelli capaci di tenere un discorso filato con soggetto-complemento-predicato e soprattutto capaci di concentrarsi per più di 10 minuti.
Una situazione inquietante.
Il quadro che abbiamo di fronte è stato ben accennato su IlSussidiario.nt in un recente articolo di Maria Pia Birocelli: “Nessuno può negare che la “generazione net, quella cresciuta con Internet, abbia modalità di apprendimento sicuramente più veloci e immediatamente gratificanti, ma che, di fatto, oggi per la prima volta rischi di veder tramontare l’esperienza stessa del sapere (da sapere, provare il sapore, gustare), a causa di un uso banalizzato, indistinto, “una sorta di consumo” delle molteplici conoscenze che vengono accumulate e come divorate, senza che suscitino alcuno stupore o gusto”.
Se è davvero così, la situazione sembrerebbe piuttosto grave. Oltre a rilevare la sindrome, avete in mente una qualche terapia?
Certamente. E ci abbiamo già riflettuto parecchio: quello che è certo – continuando con la metafora medica – è che non può bastare una terapia d’urgenza. Ci vuole un intervento più in profondità, e anche piuttosto drastico, rispetto all’andazzo che hanno preso la scuola e l’insegnamento. Bisogna precipitarsi a ripristinare il riassunto, a recuperare greco e latino, stimolare il ragionamento e la riflessione personale. Poi (e dovrebbe trattarsi di una prescrizione assoluta, senza se e senza ma), vietare l’uso dei cellulari in classe e dei computer se non in caso di esercitazioni. Ancora, rieducare gli insegnanti che si sono de-responsabilizzati di fronte ai nativi digitali, lasciando ai ragazzi “più bravi di loro” il compito e il piacere di “smanettare”. Poche storie: non c’è insegnante di media intelligenza che in tre sabati di aggiornamento non possa imparare ad usare i social network, da Facebook, a Youtube, a Google, a Twitter, portandosi allo stesso livello dei propri studenti.
Una bella sfida.
Questo dovrebbe tappare la bocca a quanti sono pronti a tacciarci di essere contro il progresso. Perché è vero il contrario. Solo se gli insegnanti sapranno parlare il linguaggio “digitale” dei loro allievi c’è una qualche possibilità che li possano educare a padroneggiare i nuovi media invece di esserne molto semplicemente – e per sempre – schiavi. Ma dato che non ci si può illudere che basti una eventuale circolare ministeriale, i docenti del network Athena hanno deciso di muoversi sul proprio territorio dando vita a seminari interdisciplinari con insegnanti di ogni ordine grado per cercare di risolvere assieme il grave problema, con lo spirito tipico di Pubblicità Progresso: quello della gratuità e della sussidiarietà. Al Sussidiario chiediamo di approfondire questa tematica coinvolgendo il maggior numero di docenti di tutte le classi, augurandoci che prima o poi se ne accorga anche il Ministero dell’Istruzione.